Nel documento Union of Equality veniva promosso un linguaggio senza riferimenti di "genere, etnia, razza, religione, disabilità e orientamento sessuale", rispettoso delle diversità. Fra gli esempi anche quello di preferire l’espressione “le festività sono stressanti” a “Natale è stressante”, che ha suscitato critiche da parte, fra gli altri, di Salvini e Meloni. Poi il dietrofront di Bruxelles: non è un documento maturo, lo ritiriamo e ci lavoreremo ancora
A poche ore dalle polemiche suscitate dal documento per una "corretta comunicazione" dal titolo Union of Equality, la commissaria Ue all'Uguaglianza Helena Dalli fa dietrofront: "L'iniziativa delle linee guida aveva lo scopo di illustrare la diversità della cultura europea e di mostrare la natura inclusiva della Commissione. Tuttavia, la versione pubblicata delle linee guida non è funzionale a questo scopo. Non è un documento maturo e non va incontro ai nostri standard qualitativi. Quindi lo ritiro e lavoreremo ancora su questo documento". Al centro della vicenda le linee guida della Commissione europea, emerse il 29 novembre, che contenevano indicazioni per l'uso di un linguaggio inclusivo senza riferimenti di "genere, etnia, razza, religione, disabilità e orientamento sessuale". Fra queste anche il suggerimento di "evitare di dare per scontato che tutti siano cristiani", e al posto di dire o scrivere "Natale è stressante" utilizzare le parole: “Le festività sono stressanti”. Un riferimento, quello alle festività, che aveva suscitato diverse critiche.
Ue: “Dare spazio alla diversità”
Già lunedì, sulla questione delle festività, fonti da Bruxelles avevano precisato: "Non vietiamo o scoraggiamo l'uso della parola Natale, è ovvio. Celebrare il Natale e usare nomi e simboli cristiani sono parte della ricca eredità europea. Come Commissione, siamo neutrali sulle questioni delle religioni, abbiamo un costante dialogo con tutte le organizzazioni religiose e non confessionali". E avevano sottolineato: "Si tratta di un documento interno preparato ad un livello tecnico con l'obiettivo di aumentare la consapevolezza di una comunicazione inclusiva". Fonti di Bruxelles avevano poi ricordato che circa il 44% degli europei è di fede cattolica, circa il 10% rispettivamente di fede ortodossa e protestante. Il 26% dichiara non appartenente ad alcuna religione, il 2% è musulmano, lo 0,6% buddista e circa un milione appartiene alla fede ebraica. "Le differenti religioni, gli atei e gli agnostici sono parte di un'Ue integrata. Come altre organizzazioni noi prepariamo linee guida interne in diverse aree" ed "è importante dare spazio alla diversità e alla ricchezza della cultura europea. Questo è l'obiettivo generale", avevano spiegato ancora dalla Commissione. "Certo - avevano sottolineato - possiamo sempre discutere degli esempi fatti. Potevano forse essere migliori".
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Le polemiche
In Italia sul tema era intervenuto Matteo Salvini, che su Twitter aveva scritto: "Maria, Giuseppe. Viva il Natale. Sperando che in Europa nessuno si offenda". Poi il leader della Lega, parlando all'assemblea della Lega campana, aveva aggiunto: "Un documento della Ue - in nome della 'lotta alla discriminazione' - invita a non dire Buon Natale, ma Buone feste. Se non li fermiamo, questi ci portano verso il nulla. Il documento è in inglese e sostiene che è meglio lasciare da parte il nome Mary, e di sostituirlo con Malika. O li fermiamo o questi ci portano verso il nulla. Buon Santo Natale a tutti". Mentre a Strasburgo l'azzurro Antonio Tajani aveva inoltrato un'interrogazione scritta alla Commissione per chiedere di cambiare le indicazioni: "La Commissione intende modificare queste linee guida, nel rispetto delle radici cristiane dell'Unione europea?". "La Commissione Europea, tramite un documento interno, considera il Natale festività poco ‘inclusiva’ - scriveva anche Giorgia Meloni in un tweet - Nel bersaglio anche i nomi Maria e Giovanni. Il motivo? Potrebbero risultare ‘offensivi’ per i non cristiani. Ora basta: la nostra storia e la nostra identità non si cancellano".
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Il documento della Commissione europea
"Le parole e le immagini che usiamo nella nostra comunicazione quotidiana trasmettono un messaggio su chi siamo e chi non siamo", era la tesi delle linee guida. Una tesi che aveva diverse implicazioni pratiche che l'esecutivo Ue, nel documento, divideva per settori. In tema di genere "sono preferibili" i nomi e pronomi neutrali. Piuttosto che “he” o “she” (egli o ella), meglio usare un più generico “they” (loro). Mai, inoltre, salutare una platea con “ladies and gentlemen” ma presentarsi semplicemente con “dear colleagues”. E se ci si rivolge ad una donna sarebbe sbagliato presumere il suo stato civile: al “signora” o “signorina” va preferito “Ms”. "In ogni contenuto testuale o audiovisuale va assicurata la diversità" e in "qualsiasi panel va rispettato l'equilibrio di genere", si legge ancora nelle linee guida. Che affrontano anche il tema della disabilità e dell'età. Dire “anziani” può essere offensivo, meglio usare “popolazione più adulta”, era l'invito di Palazzo Berlaymont. E piuttosto che scrivere o dire che una persona “è disabile”, è preferibile affermare che una persona “ha una disabilità”. Nel documento, che si presentava come specchio fedele della cosiddetta “woke generation”, il tema dell'orientamento sessuale era centrale. Mai dire “un gay” ma piuttosto “una persona gay”. Usare la formula “una coppia lesbica” e non “due lesbiche”. Anche nella rappresentazione di una famiglia vocaboli come “marito”, “moglie”, “padre” o “madre” non rispecchiano il linguaggio inclusivo. L'indirizzo restava quello della neutralità: usare, perciò, parole come “partner” o “genitori”. L'inclusione, per i vertici Ue, deve essere chiaramente anche religiosa. Così, quando si compila un comunicato, la Commissione sconsigliava al suo staff di usare parole "tipiche" di una specifica religione. Un esempio? Alla frase “Maria e John sono una coppia internazionale” andrebbe sostituita “Malika e Giulio sono una coppia internazionale”.