Il voto del 6 maggio per il rinnovo del parlamento ha decretato l’inequivocabile successo dello Scottish National Party di Nicola Sturgeon e dell’altro partito indipendentista: i Verdi. Entrambe le formazioni insistono per un nuovo referendum appena la pandemia da Covid-19 sarà superata, nonostante la ferma opposizione del primo ministro del Regno Unito Boris Johnson. Il viaggio della nostra inviata in un Paese alla vigilia di sfide importanti.
EDIMBURGO - In un inizio maggio che a un profano di cose scozzesi potrebbe sembrare gennaio, la bandiera europea, fuori dal parlamento di Holyrood, ad Edimburgo, sventola furiosamente, sferzata da un vento gelido. Ma sta lì, fiera: accanto a quella scozzese e alla Union Jack. E lì rimane. Una sostenitrice del movimento indipendentista ci ricorda che è nata nel 1955 e a sceglierla è stata il consiglio d’Europa, di cui il Regno Unito fa (ancora) parte. Chissà se se lo ricordano anche a Westminster. Fatto sta che tutte le bandiere europee che sono sparite in Inghilterra sembrano finite qui: davanti ai palazzi istituzionali così come sui davanzali delle abitazioni private. Ne troviamo una anche in uno dei quartieri più degradati di Dundee, città di 150 mila abitanti a nord di Edimburgo. E’ tristemente considerata la Capitale della droga in Europa, in una nazione, la Scozia, che ha un tasso di mortalità da stupefacenti che è quindici volte superiore alla media europea (e tre volte superiore a quella del Regno Unito).
Dundee capitale della droga in Europa
Dopo l’era Thatcher e la crisi delle attività cantieristiche, Dundee sta cercando di reinventarsi e prova ne sono i lavori di riqualificazione del fronte del porto, lì dove sorge ora il primo museo del design della nazione, il V&A. I dundonians ironizzano sul fatto che la V sta per Valium e l’A per Addiction: dipendenza. Tra le ragioni dei decessi di così tante persone, c’è il fatto che spesso si assumono contemporaneamente più sostanze tossiche per l’organismo: chi si fa di eroina è spesso anche alcolizzato, o fa un ricorso massiccio di antidolorifici a base di oppiacei. A spiegarcelo è un attivista, Peter Krykant, che a Glasgow gira con un furgoncino trasformato in una sorta di ambulanza che permette alle persone di farsi una dose in un ambiente sicuro. Inutile dire che l’iniziativa gli ha creato non pochi problemi da un punto di vista legale e ha diviso l’opinione pubblica. Krykant è molto pessimista sul futuro di questa nazione. “La sola cosa di cui parla l’SNP (lo Scottish National Party ndr) è come raggiungere l’indipendenza – spiega l’attivista - e tutto ciò di cui parlano i conservatori è come fermare l’indipendenza, quando abbiamo 230 mila bambini che vivono sotto la soglia di povertà, abbiamo un’alta disoccupazione giovanile, un gap formativo che continua ad allargarsi… Questi sono gli elementi che portano alla tempesta perfetta, che spingono i giovani ad assumere droghe e a morire”.
La transizione ecologica e Cop26
Ma Glasgow non è più la città che agli inizi degli anni Novanta ospitò le riprese del film di Danny Boyle “Trainspotting”, tratto dall’omonimo libro dello scrittore scozzese Irvine Welsh (che invece ambientò la storia ad Edimburgo). E’ soprattutto diventata la città all’avanguardia nell’utilizzo delle energie rinnovabili, in una nazione che già copre con queste oltre il 97% del suo fabbisogno di elettricità. A Clydebank, sobborgo di Glasgow dove un tempo non troppo lontano si assemblavano navi, oggi si costruiscono case che sfrutteranno l’acqua del fiume Clyde per riscaldarsi. Bisogna visitare luoghi come questi per capire le prospettive di crescita che ha la Scozia, che sta investendo molto sulla cosiddetta transizione ecologica. Non è un caso che si svolgerà a Glasgow la Cop26, prevista a novembre.
L’effetto Brexit e la nostalgia europea
Le sfide davanti al nuovo esecutivo scozzese sono dunque molte e non facili. Una volta superata per davvero l’emergenza pandemica, ci sono ancora tutti gli effetti della Brexit da affrontare e che, soprattutto per i pescatori, hanno rappresentato un brutto risveglio. Anche in Scozia (che ha votato in maggioranza per il “remain”) i pescatori si erano espressi nella maggior parte dei casi a favore del “leave”, convinti che si sarebbero “riappropriati delle loro acque”. Le cose, hanno scoperto, non stanno esattamente così.
Indubbiamente, l’effetto Brexit più chiaro in terra di Scozia è quello di aver dato nuova linfa vitale alla causa indipendentista, perché se è vero che nel 2014, anno del primo referendum, gli scozzesi avevano deciso con un ampio scarto di rimanere nel Regno Unito (proprio anche per evitare di uscire dall’Unione europea) è anche vero che quello stesso scarto nel 2016 aveva fatto vincere il “remain”.
Per Nicola Sturgeon il tempo stringe
Questo non vuol dire che gli scozzesi, avessero la possibilità di votare nuovamente (cosa che al momento Boris Johnson ritiene impossibile), sceglierebbero necessariamente di lasciare il Regno Unito, a dispetto di una nostalgia autentica e crescente per l’Unione europea. Ciò che vogliono è innanzitutto la possibilità di esprimere la propria volontà, e di farlo legalmente, riconosciuti da Westminster così come a livello internazionale. Ma attenzione però: tra i commentatori scozzesi c’è anche chi comincia a osservare una certa impazienza all’interno del mondo indipendentista. Nicola Sturgeon sa di giocarsi su questo tema il suo futuro (e presente) politico. L’Snp governa da 14 anni, lo scorso 6 maggio, alle elezioni per il rinnovo del parlamento, ha mancato solo per un seggio la maggioranza assoluta e, grazie all’avanzata dei Verdi, a Holyrood c’è una chiara maggioranza di parlamentari indipendentisti. Per il referendum è ormai questione di “ora o mai più”. Per lei, suona la campana.