Il diplomatico è morto il 22 febbraio, insieme a un carabiniere, in un attacco a Goma mentre era su un convoglio della MONUSCO, la missione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo. Era uno dei più giovani ambasciatori italiani nel mondo
L'Ambasciatore d'Italia nella Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio, è morto in un attacco il 22 febbraio vicino a Goma, insieme a un militare dell'Arma dei Carabinieri, mentre si trovava su un convoglio Onu. A confermare il decesso è stata la Farnesina "con profondo cordoglio". Il diplomatico aveva recentemente ricevuto il Premio Internazionale Nassiriya per la Pace 2020.
Chi era Luca Attanasio
Luca Attanasio aveva 43 anni, era nato a Saronno, in provincia di Varese, ed era cresciuto a Limbiate (provincia di Monza-Brianza). A maggio avrebbe compiuto 44 anni. Era uno degli ambasciatori italiani più giovani nel mondo. Dopo diverse esperienze nelle ambasciate in Svizzera, in Marocco e in Nigeria, dal 2017 era capo missione a Kinshasa, nel Congo, dove stava portando a termine numerosi progetti umanitari. Il premio Nassiriya gli era stato riconosciuto “per il suo impegno volto alla salvaguardia della pace tra i popoli” e “per aver contribuito alla realizzazione di importanti progetti umanitari distinguendosi per l'altruismo, la dedizione e lo spirito di servizio a sostegno delle persone in difficoltà”.
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Dagli studi alla Farnesina
Attanasio si era laureato con lode all'università Bocconi di Milano e aveva poi intrapreso un breve percorso professionale nella consulenza aziendale per poi ottenere un master in Politica Internazionale. La carriera diplomatica era iniziata nel 2003 quando alla Farnesina era stato assegnato alla direzione per gli Affari Economici, Ufficio sostegno alle imprese. In seguito è passato alla segreteria della direzione generale per l’Africa per poi divenire vice capo segreteria del sottosegretario di Stato con delega per l’Africa e la Cooperazione Internazionale. Dal 2006 al 2010 è stato capo dell’Ufficio Economico e Commerciale presso l’Ambasciata d’Italia a Berna, poi ha passato 3 anni come console generale reggente a Casablanca, in Marocco. Nel 2013 era rientrato in Italia per diventare Capo Segreteria della direzione generale per la mondializzazione e gli affari globali. Due anni dopo, il ritorno in Africa inizialmente come primo consigliere presso l’ambasciata d’Italia in Abuja, Nigeria, infine in Congo. Dal 31 ottobre 2019 era stato confermato Ambasciatore Straordinario Plenipotenziario accreditato in Repubblica Democratica del Congo. Era sposato con Zakia Seddiki, fondatrice e presidente dell’associazione umanitaria “Mama Sofia” che opera nelle aree più difficili del Congo per la salvaguardia di giovani madri e bambini, ed era padre di tre bimbe.
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"In Congo ci sono tanti problemi da risolvere"
A ottobre 2020, alla cerimonia di consegna del Premio Nassiriya per la Pace, ricevuto insieme alla moglie, aveva parlato anche della situazione in Congo. "Tutto ciò che noi in Italia diamo per scontato - aveva raccontato - non lo è in Congo, dove purtroppo ci sono ancora tanti problemi da risolvere. Il ruolo dell'ambasciata è innanzitutto quello di stare vicino agli italiani, ma anche contribuire al raggiungimento della pace. La nostra è una missione, a volte anche pericolosa, ma abbiamo il dovere di dare l'esempio". A Propaganda Live, invece, aveva parlato dei tanti italiani che vivevano nel Paese. "Sono arrivati alla ricerca di un futuro economico migliore, sono esponenti di una migrazione economica avvenuta soprattutto dopo la fine della Seconda guerra mondiale. C'era la percezione di una prospettiva di vita migliore e così è stato per diversi anni - aveva detto - il Nord Kivu, dove la terra è fertilissima, era visto come un eden dai migranti italiani". Diego Bianchi, che in quell'occasione era stato ospite nella sua residenza lo ricorda come un diplomatico "preparatissimo e gentilissimo". Un ambasciatore "senza orpelli" che "metteva in gioco tutta la sua ricchezza umana, la sua formazione, la sua esperienza", lo descrive sul sito di Famiglia Cristiana don Roberto Ponti, per nove anni missionario a Kinshasa e amico del diplomatico. "La sua presenza e quella della moglie - ha detto il prete - si è fatta sempre notare nei centri di promozione sociale, soprattutto quelli gestiti da missionari e missionarie italiani, dove portava il suo aiuto concreto".