Il coronavirus ha colpito duro in tutto il mondo, ma mai con tanta durezza come nei paesi poveri. E così, in un paese stremato da un’inflazione altissima, da un’economia stagnante, da una disoccupazione record, soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione, le misure restrittive sugli spostamenti hanno dato il colpo di grazia
La cronaca di oggi ci restituisce un quadro desolante della Tunisia a 10 anni dalla primavera araba. 600 arresti. Questo il bilancio, destinato drammaticamente a innalzarsi nelle prossime ore, degli scontri che dal almeno tre giorni interessano tutto il paese. È sceso in piazza perfino l’esercito per fronteggiare le migliaia di giovani esasperati dalla povertà e dalle misure di lockdown che di fatto paralizzano l’economia già agonizzante del paese.
Il virus (QUI LE ULTIME NOTIZIE IN DIRETTA) ha colpito duro in tutto il mondo, ma mai con tanta durezza come nei paesi poveri, a riprova che non c’è uguaglianza neanche nelle disgrazie. E così, in un paese stremato da un’inflazione altissima, da un’economia stagnante, da una disoccupazione record, soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione, le misure restrittive sugli spostamenti hanno dato il colpo di grazia.
I giovani sono tornati in strada
Per questo, proprio a 10 anni dalla “rivoluzione dei gelsomini”, che diede il via alla “primavera araba”, i giovani hanno nuovamente occupato le strade per gridare la loro rabbia. Povertà, mancanza di infrastrutture, corruzione, le ragioni che li hanno portati in piazza. Si potrebbero sovrapporre le immagini di quando l’ambulante Mohamed Bouazizi si diede fuoco per protestare contro la sua condizione di povertà e il sequestro della sua merce a quelle odierne.
Solo che dal 2010 a oggi è successo tutto, in Tunisia, e non solo.
Il contesto non è cambiato
Ora non c’è più un dittatore corrotto alla guida del paese, ma un presidente, Nabil Karoui, chiamato “Robocop” per la sua rigidità, non solo formale, ma anche etica. Il premier è un tecnico, Hichem Mechichi, che ha lavorato a lungo nelle commissioni anticorruzione.
Ma il contesto non è cambiato. Anzi.
La povertà morde. Il turismo, una delle principali fonti di sostentamento del paese, è al collasso per l’epidemia. E i movimenti integralisti continuano a raccogliere migliaia di proseliti. Basti pensare che il maggior numero di Foreign Fighters dell’Isis proveniva proprio dalla Tunisia.
E questo forse è il momento di una riflessione sul quel che è successo 10 anni fa e che cosa fu realmente quella che con troppa fretta definimmo “primavera araba”. Cosa resta di quel “guerrigliero urbano” uomo dell’anno del 2011 per “Time”, delle aspirazioni di un popolo, quello arabo, che sembrava voler uscire da decenni di satrapie, corruzione, arretratezza e sfruttamento da parte di piccole e privilegiate élite.
Dalla Libia all'Egitto, cos'è cambiato
Se guardiamo solo al Nord Africa il bilancio è drammatico.
La Libia ancora avvitata in una guerra civile che lancia l’appello per la mancanza di farina, l’Egitto precipitato dalla padella della rapacità di Hosni Mubarak alla brace del pugno di ferro del generale Abdelfatah al Sisi. L’Algeria, che dopo gli orrori degli anni ’90 resta sostanzialmente indecifrabile.
Unica oasi di stabilità il Marocco, dove il re Mohamed, con grande accortezza e acume, proprio nel 2011 accolse le istanze del suo popolo e avviò un programma di caute riforme.
In realtà, a smuovere le masse non fu l’istanza di democrazia, condivisa solo da una parte del movimento, ma la povertà, e la ribellione verso regimi incancreniti, come Ben Ali in Tunisia, Gheddafi in Libia, Mubarak in Egitto. Non a caso trovò sponda tra i Fratelli Musulmani, da sempre repressi in questi paesi, ma non certo paladini delle libertà civili.
Fu un corto circuito mediatico che mise in primo piano i giovani (tanti, ma non la maggioranza) che grazie ai social gridavano slogan per l’eguaglianza e la libertà di espressione.
La crisi economica ha riaccesso la protesta
Ora che la crisi economica ha presentato il conto, la Tunisia e tutto il Maghreb tornano a infiammarsi, mentre il Mondo è occupato dalla più grave emergenza dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
E' salito a 600 il numero di giovani manifestanti arrestati in Tunisia al terzo giorno di proteste. Lo hanno reso noto i ministeri dell'Interno e della Difesa, che ha annunciato il dispiegamento dell'esercito in diverse citta' per bloccare le proteste.
In totale sono state arrestate 632 persone tra 15, 20 e 25 anni che, secondo il portavoce del ministero dell'Interno Khaled Hayouni, "hanno bruciato pneumatici e cassonetti per bloccare le forze di sicurezza".
Ancora scontri e disordini nella notte appena trascorsa tra giovani manifestanti e forze di sicurezza in varie località della Tunisia. Per la terza notte consecutiva sono state registrate a Cite' Ettadhamen, Mnihla e al Intilaka, sobborghi popolari della capitale, ma anche a Sbeitla, Nabeul, Beja, Kasserine, Jelma, Menzel Bouzalfa, Sousse, Gafsa, Biserta, Sidi Bouzid, Korba, Tebourba, le stesse scene di violenza, saccheggi, incendi di pneumatici, sassaiole e attacchi alle forze dell'ordine.
L'esercito tunisino è stato dispiegato in diversi governatorati del Paese, "al fine di proteggere le istituzioni e prevenire qualsiasi atto di caos". E' quanto ha affermato Mohamed Zekri, portavoce del ministero della Difesa, alla radio locale Mosaique Fm, precisando che i militari sono attualmente schierati a Siliana, Kasserine, Bizerte e Sousse.
Essi supporteranno le forze di sicurezza nazionale, costrette ad un duro lavoro per controllare l'ordine pubblico nella terza serata di scontri tra giovani e polizia in diverse città del paese.
Per disperdere i giovani, che hanno sfidato il coprifuoco in vigore a causa della pandemia incendiando pneumatici e tentando di saccheggiare negozi, la polizia ha fatto ampio uso di lacrimogeni.
Il rimpasto
Appelli a manifestare erano stati lanciati nei giorni scorsi in vista del decimo anniversario, 14 gennaio, della cacciata di Ben Ali che segnò l'inizio della "rivoluzione dei gelsomini" e aprì la stagione della cosiddetta "primavera araba".
Sotto pressione per lo scontento popolare dovuto all'aggravarsi delle preesistenti difficoltà economiche di fronte alla pandemia, il premier Hichem Mechichi ha annunciato ieri un ampio rimpasto di governo che riguarda 12 ministeri, tra cui quelli dell'Interno, della Giustizia e della Salute.
"L'obiettivo di questo rimpasto è di avere più efficacia nel lavoro del governo", ha dichiarato il premier alla stampa. Il nuovo esecutivo, che deve ancora essere approvato dal parlamento, non include alcuna donna ministro.