Usa, dopo il voto una nazione divisa

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Lorenzo Castellani

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La vittoria di Biden e le difficoltà della transizione nell'analisi della SoG della Luiss

Joe Biden sarà il prossimo Presidente degli Stati Uniti grazie a poche migliaia di voti raccolti in più rispetto a Donald Trump in alcuni Stati chiave del Nord e del Sud. Tuttavia, la dinamica di queste elezioni mette sul tavolo dell’analista politico una serie di problematiche molto rilevanti. La prima è che considerando l’orientamento dei sondaggi e dell’opinione pubblica nelle ultime settimane prima del voto la maggior parte degli osservatori si aspettava una più netta vittoria dello sfidante democratico. Non c’è stata una “onda blu” capace di consegnare una landslide victory a Biden. Sul piano elettorale gli Stati Uniti si mostrano una nazione ancora estremamente divisa e polarizzata tra Democratici e Repubblicani e la vittoria di misura di Biden non porterà probabilmente alla pacificazione tra le due Americhe né alla catarsi politica in cui molti speravano. A livello istituzionale, inoltre, nelle prossime settimane avanzeranno richieste di riconteggio delle schede e contestazioni del meccanismo dell’early vote per via postale da parte del Presidente uscente che ha annunciato di voler ricorrere ai tribunali e alla Corte Suprema; sul piano politico, infine, il populismo di Donald Trump non è stato rigettato da gran parte del suo elettorato, tanto da farlo andare non troppo lontano dalla riconferma.

Le fratture dell’elettorato

I primi dati sulla ripartizione del voto sono interessanti perché evidenziano un’America profondamente frammentata sul piano sociale ed etnico. La prima divisione riguarda il genere: secondo dati raccolti dal Wall Street Journal, Biden è stato votato dal 55% degli elettori donne e solo dal 47% degli uomini, mentre Trump evidenzia una tendenza opposta. Il 64% della working class bianca ha votato per il Presidente uscente, mentre lo sfidante ha ottenuto il 60% tra le donne laureate. Trump ha guadagnato voti rispetto al 2016 tra gli ispanici e gli afro- americani ma rimane largamente minoritario soprattutto tra le persone di colore, che restano una roccaforte democratica. Un’altra frattura che si ripresenta come nel 2016 è quella tra aree rurali e aree metropolitane: i Repubblicani prevalgono nettamente nelle prime e i Democratici nelle seconde. Una rottura tra centro e periferia, oltre che tra Stati delle coste e Stati interni, che sembra essere oramai insanabile nella politica americana di questi anni. Da ultimo, ci sono “Stati blu” sempre più blu e “Stati rossi” sempre più rossi; dove un partito vinceva con ampio scarto sull’altro, oggi tende a vincere con uno scarto ancor maggiore. Un segno della crescente polarizzazione politica tra le diverse aree geografiche, con zone interamente dominate dai Democratici ed altre ferreamente controllate dai Repubblicani. All’orizzonte si profila anche una più netta separazione rispetto al recente passato tra gli Stati tradizionalisti del Sud e quelli progressisti del Nord.

 

Infine, le elezioni non hanno risolto nemmeno le divisioni di preferenze tematiche degli elettori: per i Democratici le preoccupazioni per la salute prevalgono nettamente, mentre per i Repubblicani è predominante l’economia. Il razzismo è una questione estremamente rilevante per l’elettorato di Biden, mentre di contro l’elettorato di Trump è preoccupato soprattutto per la sicurezza pubblica. Le minoranze e la diversità sono considerate una forza per gli Stati Uniti dagli elettori democratici, ma suscitano preoccupazioni, avversioni ed inquietudini nell’elettorato repubblicano. I democratici vorrebbero una transizione rapida verso un’economia green, mentre i supporter di Trump restano saldamente ancorati all’economia petrolifera.
In altre parole, tutte le questioni irrisolte nella politica e nel dibattito pubblico americano prima delle elezioni restano tali anche dopo l’arrivo di questi risultati così stretti. Il nocciolo duro trumpiano, tradizionalista, territorializzato e anti-globalista, non è stato riassorbito dal massaggio di apertura e integrazione dei gruppi sociali propugnato dal progressismo democratico. Decine di milioni di americani continuano a credere nella retorica anti- establishment e nel nazionalismo propugnato dal presidente uscente e rigettano la pacificazione cercata da Biden. Le aree rurali, la classe operaia e i produttori territorializzati (manifattura, petrolio, armi) non intendono rinunciare alle proprie prerogative economiche, non mostrano alcun desiderio di accettare un sistema di valori cosmopolita e multiculturale e continuano ad opporsi all’espansione del welfare a mezzo del governo federale. Paradossalmente soltanto la politica estera (il disimpegno militare da molte aree occidentali; il protezionismo verso la Cina; la guerra tecnologica), elemento fondamentale della potenza imperiale americana, potrà vedere qualche convergenza e mediazione tra i due partiti nel breve termine.

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La crisi istituzionale

La dichiarazione di Trump a scrutinio in corso di voler ricorrere alla Corte Suprema per denunciare presunti brogli è un atto che non ha precedenti nella storia degli Stati Uniti e che ben dipinge il livello di tensione nella democrazia americana. Tuttavia, al di là dell’opportunità delle dichiarazioni e dei tempi con cui sono state fornite, il voto anticipato via posta mostra numerose debolezze e disfunzioni. In primo luogo, ogni Stato ha scritto le proprie regole su come validare e conteggiare i voti postali, fissando in particolare limiti temporali diversi per considerare il voto valido. Dunque, le regole per il conteggio dei voti sono disomogenee tra gli Stati. Una situazione che pesa soprattutto negli Stati chiave di questa elezione presidenziale (in Pennsylvania il voto viene considerato valido se ricevuto fino a tre giorni dopo l’election day; o in Georgia in cui i voti via posta potranno essere ricevuto fino al 12 Novembre). In secondo luogo, in molti Stati è difficile stabilire la corrispondenza tra il numero di voti ricevuti via posta dai seggi e il numero effettivo di votanti a causa di lacune nel sistema di registrazione. In terzo luogo, la maggior parte degli Stati in cui la vittoria si è giocata sul filo del rasoio è governata da amministrazioni democratiche che hanno la responsabilità di gestire uno spoglio elettorale complicato. Un contesto che, con il grande aumento del voto postale a causa della pandemia, esacerba le tensioni tra i due schieramenti. Si è creato, dunque, uno scenario complessivo che ha aumentato l’incertezza del risultato elettorale.
Il Presidente uscente ha dichiarato che userà ogni mezzo legale a sua disposizione per verificare le procedure di scrutinio, inclusa la richiesta di presentazione del caso alla Corte Suprema, oggi saldamente controllata dai conservatori. È una situazione del tutto inedita per la politica americana in cui per la prima volta un Presidente ha contestato pubblicamente i risultati elettorali prima che si concludesse lo spoglio, per di più nell’ambito un conteggio di voti svolto con procedure e modalità inusuali. Una deriva che illumina una profonda crisi istituzionale che coinvolge la presidenza, i partiti, gli Stati e il vertice del potere giudiziario. Per i problemi nelle procedure dello spoglio in alcuni Stati, per la vicinanza dei due candidati presidenziali nei voti in certe aree e per i probabili ricorsi legali e richieste di riconteggiare è possibile che la principale potenza mondiale debba convivere per settimane con un risultato elettorale non del tutto certo.

(FILES) In this file photo taken on November 2, 2020 Democratic Presidential candidate and former US Vice President Joe Biden gestures after speaking during a Drive-In Rally at Heinz Field in Pittsburgh, Pennsylvania. - Joe Biden has won the US presidency over Donald Trump, TV networks projected on November 7, 2020, a victory sealed after the Democrat claimed several key battleground states won by the Republican incumbent in 2016. CNN, NBC News and CBS News called the race in his favor, after projecting he had won the decisive state of Pennsylvania. His running mate, US Senator Kamala Harris, has become the first woman US Vice President elected to the office. (Photo by JIM WATSON / AFP)

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Il rischio di una presidenza debole e di transizione

Il nuovo Presidente Biden rischia di essere indebolito, più che dalle contestazioni del suo avversario, dai ristretti margini elettorali della vittoria che probabilmente permetteranno ai Repubblicani di mantenere il controllo del Senato, lo si saprà solo a gennaio dopo i ballottaggi in Georgia dove però i conservatori sono favoriti, e che hanno eroso il vantaggio dei Democratici alla Camera. A questo ostacolo dobbiamo aggiungere una Corte Suprema saldamente conservatrice. Due contrappesi che renderanno complicata l’attuazione dell’agenda democratica. Il Senato, infatti, non svolge soltanto un ruolo legislativo e di rappresentanza degli Stati ma ha una funzione fondamentale sulle nomine degli alti burocrati e dei giudici federali. Il nuovo Presidente sarà costretto a mediare e cercare l’intesa con il partito avverso sia sulle riforme che sugli incarichi governativi da assegnare. Una dinamica che favorirà l’ascesa di personalità moderate e centriste, ma che potrebbe incendiare il dibattito interno al Partito Democratico, già diviso tra l’ala socialista e quella più liberale. Inoltre, alcune riforme-chiave di Biden come le politiche ambientaliste, lo stop alle perforazioni petrolifere oppure l’irrobustimento della copertura sanitaria pubblica potrebbero essere fermate proprio dal Senato. Così come provvedimenti che riguardano i temi etici e il possesso di armi verrebbero quasi certamente bocciati dalla Corte Suprema come incostituzionali. In altre parole, ad esclusione della politica estera su cui Biden presenta delle continuità sia con Obama che con Trump, le riforme interne che puntano ad un rafforzamento del welfare state, della green economy, della tutela delle diversità potrebbero essere notevolmente depotenziate. In conclusione, il rischio è che, anche considerata l’età avanzata del nuovo Presidente, si vada incontro ad una presidenza debole e di transizione. Si profilano quattro anni senza grandi sorprese all’interno delle istituzioni, ma che potrebbero acuire la polarizzazione e la conflittualità esterna ai palazzi proprio per i compromessi, sempre più mal tollerati dal sentimento popolare, che Biden sarà costretto ad intavolare con i Repubblicani. Questi ultimi, inoltre, orfani di Trump ma non della sua influenza culturale, potrebbero a loro volta dividersi tra un’ala trumpiana-sudista-massimalista e una più moderata e incline alla mediazione. La futura stabilità della politica americana dipenderà molto dal rapporto proporzionale tra le ali moderate e radicali dei due partiti. Se in questi quattro anni – a causa della debolezza di partenza di Biden e di un processo elettorale travagliatissimo – le fazioni estreme dovessero rafforzarsi, gli Stati Uniti si ritroverebbero a sopportare una tensione politica ancor maggiore rispetto a quella dell’era Trump. La pacificazione della società americana sembra, almeno per ora, rimandata ad un futuro indefinito.

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