I primi a rientrare sono i militari delle basi delle province di Helmand e Herat. Entro luglio le unità americane dovranno passare da 12mila a 8.600. Nel mentre Washington ha chiesto al Consiglio di sicurezza Onu di approvare il piano di pace raggiunto con gli insorti
Gli Stati Uniti hanno cominciato il ritiro delle proprie truppe dall’Afghanistan, dopo quasi 19 anni di guerra, secondo quanto comunicato da fonti ufficiali statunitensi. L’abbandono del Paese è previsto dallo storico accordo firmato lo scorso 29 febbraio a Doha, in Qatar, tra gli Usa e rappresentanti dei talebani. In base al piano concordato, ora devono essere avviati negoziati tra gli insorti islamici e il governo di Kabul. Nel frattempo Washington ha chiesto per oggi, 10 marzo, che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvi tramite risoluzione il testo dell’accordo di pace raggiunto con i talebani. Fonti diplomatiche, che hanno confermato la notizia, fanno notare come la mossa sia inusuale per un patto tra un Paese straniero e un gruppo di guerriglia.
Da 12mila a 8.600 unità entro luglio
Il ritiro dei soldati statunitensi è cominciato nella mattinata del 10 marzo dalle basi militari di Lashkar Gah, capoluogo della provincia meridionale di Helmand - roccaforte dei talebani e teatro di violenti scontri - e da un’altra base nella provincia di Herat, nell’Est del Paese. In base all’accordo di Doha, una prima riduzione da 12mila a 8.600 unità avverrà entro metà luglio. Da qui ad allora, verranno chiuse 20 basi. Gli Usa hanno complessivamente 14 mesi di tempo per far rientrare in patria i militari. Tuttavia, come ha precisato il portavoce delle forze statunitensi in Afghanistan, Sonny Leggett, gli Usa “manterranno gli strumenti militari e l’autorità per raggiungere i nostri obiettivi”. Dovrebbe infatti restare un contingente per combattere i gruppi terroristici.
La richiesta all’Onu
Nella bozza di risoluzione che Washington ha chiesto all’Onu di approvare, in base a quanto visionato dall’agenzia di stampa Afp, si “chiede con urgenza al governo della Repubblica islamica dell’Afghanistan di portare avanti il processo di pace, anche partecipando a negoziati inter-afghani con una squadra di negoziatori diversificata e inclusiva, composta da leader politici e della società civile afghana, che includa donne”. I negoziati inter-afghani, soprattutto tra governo e talebani, secondo quanto concordato dovrebbero iniziare oggi e avranno come primo obiettivo quello di assicurare un cessate il fuoco completo e duraturo e, in prospettiva, una condivisione del potere. La condizione è che i talebani rompano con tutte le organizzazioni terroristiche, a partire da Al Qaeda, e accettino di trattare con l’esecutivo di Kabul, con il quale finora si sono rifiutati di dialogare.
La crisi istituzionale nel Paese
Il tutto è reso ulteriormente complesso dalla situazione politica attuale dell’Afghanistan. Il 9 marzo hanno giurato contemporaneamente come presidenti l’uscente Ashraf Ghani, riconfermato per un secondo mandato dal voto di settembre - i cui esiti sono stati comunicati però solo a metà febbraio - e il rivale Abdullah Abdullah, ex vicepresidente afghano, che ritiene di aver vinto lui le elezioni. I due si sono insediati parallelamente in due cerimonie separate in due ali del palazzo presidenziale a Kabul.