Elezioni Spagna, socialisti primi ma senza maggioranza. Ecco cosa può succedere adesso

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Al termine del quarto voto in quattro anni, il primo partito è il Psoe di Sanchez (28%), seguito dal Pp (20,82%) e dal partito di ultradestra Vox (15,09%). Sarà quindi ancora problematico formare un nuovo governo. Dopo la sconfitta Rivera (Ciudadanos) lascia la politica

In Spagna, si sono concluse nella serata di domenica 10 novembre, le quarte elezioni nazionali in altrettanti anni (dal dicembre del 2015). Tuttavia, come successo nelle tornate elettorali precedenti, nessun partito è riuscito ad ottenere una maggioranza che permetta di governare in autonomia (FOTO). Al termine dello scrutinio, il primo partito è quello socialista (Psoe) guidato dal premier uscente Pedro Sanchez che, con il 28% dei voti, ha sostanzialmente replicato il risultato delle precedenti elezioni quando aveva ottenuto il 28,7%. Alle spalle del Psoe crescono partiti di centrodestra e destra: i Popolari (Pp) guidati dal giovane Pablo Casado tornano sopra il 20% e crescono di oltre 20 seggi, mentre i nazionalisti di Vox si consacrano come terza forza politica in Spagna, arrivando al 15.09%: con questo exploit hanno più che raddoppiato i loro seggi alla Camera (da 24 a 52). Molto male, invece, il partito Ciudadanos che non raggiunge il 7%, scendendo da 57 a 10 seggi. Una debacle elettorale che ha portato alle dimissioni del presidente Albert Rivera, il quale ha annunciato la decisione di lasciare la politica.

Difficile formare un governo di maggioranza

Nonostante si sia affermato come primo partito nazionale, il Psoe di Pedro Sanchez non ha centrato il suo obiettivo: non solo perché ha perso seggi invece di guadagnarne (120 contro 123), ma perché le condizioni per formare un'alleanza di governo non sono cambiate. Alla sua sinistra, Podemos perde leggermente terreno rispetto ad aprile (35 seggi) ma meno del previsto, nonostante abbia subito una scissione, quella di Más País (MP), che i sondaggi della vigilia avevano piuttosto sovrastimato. Altrettanto difficile che si formi una maggioranza di centrodestra, nonostante il risultato positivo di Pp e Vox: ciò che i due partiti hanno guadagnato - sia in termini di voti che di seggi - è stato quasi annullato dal crollo dei liberali di Ciudadanos, che ad aprile erano arrivati ad insidiare i Popolari come seconda forza politica e che oggi invece si ritrovano drasticamente ridimensionati, sotto il 7% e con soli 10 seggi. Il "modello Andalusia" ossia la coalizione tra PP, Vox e Ciudadanos, si ferma così a 150 seggi, molto lontano dalla soglia di 176.

Cosa succede adesso

Sarà molto difficile dunque che Madrid riesca a formare un governo di maggioranza. La possibilità che si ripeta la cosiddetta "gran coalición", ovvero la coalizione formata dal Psoe e dal Pp (che supererebbe agevolmente i 176 seggi) è quasi nulla, visti i precedenti storici. Allo stesso modo, sia le forze unite di sinistra (Psoe-Up-Mp) che quelle di destra (PP-Vox-Cs) non arriverebbero nemmeno a 160 seggi. Ciò non vuol dire necessariamente che gli spagnoli dovranno tornare al voto: in Spagna, infatti, non è strettamente necessaria la maggioranza assoluta dei seggi per formare un governo. Nel momento in cui non si dovesse formare alla prima votazione, al premier incaricato basta avere più voti a favore che contro nella seconda votazione. Per questo motivo, un ruolo chiave è quello delle astensioni "strategiche": nel 2016, proprio grazie a numerose astensioni (68), il governo Rajoy poté insediarsi nonostante i voti favorevoli (Pp+Cs) si fermassero a quota 170. Non è dunque escluso che si ripeta un simile scenario anche nel 2019 nel caso in cui ci fosse un accordo Psoe-Up-Mp e le contemporanee astensioni di tutti i partiti regionalisti. In quel caso, i loro voti favorevoli sarebbero sufficienti a far partire un governo di sinistra: i voti contrari di Pp, Vox e Cs si fermerebbero a 150.

Rivera lascia la politica

Dopo il risultato deludente ottenuto da Ciudadanos, l’ormai ex leader Albert Rivera ha annunciato le dimissioni dalla presidenza del partito e la decisione di lasciare definitivamente la politica. Una scelta definita dallo stesso Rivera “personale, in coerenza con ciò che sono”. “Voglio essere felice - ha detto all’indomani del voto -. Lo sono stato, però adesso lo sarò fuori dalla politica”. Rivera, 39 anni, ha guidato il movimento dai suoi albori, tredici anni fa, fino a oggi. Adesso, come ha spiegato l’ex leader nel corso di una conferenza stampa, spetterà al congresso nazionale di Ciudadanos il compito di decidere il futuro del progetto. Rivera ha ribadito di assumersi “tutta la responsabilità personale” della sconfitta alle urne.

Affluenza in calo ma non troppo

Già nel 2016, sei mesi dopo le elezioni senza vincitori del dicembre 2015, l'affluenza era notevolmente calata. Nel 2019, però, si è votato per un'elezione nazionale per ben tre volte in poco più di sei mesi e questo ha certamente contribuito alla diminuzione della partecipazione che si è registrata. Ma non si è trattato di un crollo: rispetto ad aprile l'affluenza è calata di poco meno di 2 punti (69,9% contro 71,8%).

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