Giulio Regeni, il testimone: “Rapito da servizi egiziani: pensavano fosse spia inglese”

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Secondo quanto ricostruito da Corriere e Repubblica, un supertestimone avrebbe raccontato agli inquirenti italiani di aver ascoltato una conversazione tra un funzionario egiziano e un altro poliziotto. Il ministro degli Esteri, Moavero Milanesi, sostiene la rogatoria

Giulio Regeni fu ucciso dai servizi di sicurezza egiziani perché creduto una spia inglese. A dirlo, questa volta, non sono gli inquirenti italiani che indagano sul rapimento e la morte del giovane ricercatore friulano, ma un supertestimone che, secondo quanto scrivono Corriere e Repubblica, ascoltò una conversazione proprio tra uno degli agenti responsabili del rapimento e un altro poliziotto africano. Intanto, Il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, sostiene la rogatoria della Procura di Roma sul caso. 

L’ammissione del funzionario egiziano

In questa conversazione, il funzionario della National security egiziana avrebbe raccontato di aver partecipato al “prelevamento” di Regeni la sera del 25 gennaio 2016. “Credevamo che fosse una spia inglese, lo abbiamo preso, io sono andato e dopo averlo caricato in macchina abbiamo dovuto picchiarlo. Io l’ho colpito al volto”, è la ricostruzione di quanto ammesso dall’uomo secondo il Corriere. Queste parole sarebbero state confidate a un collega straniero nel corso di una riunione di poliziotti africani, avvenuta in un Paese di quel continente nell’estate 2017. Ad ascoltare la conversazione, e ora rivelarla agli inquirenti italiani, è un terzo uomo, il supertestimone.

La ricostruzione ascoltata dal testimone

Le ammissioni, sottolinea poi Repubblica, sarebbero state fatte durante un pranzo in cui il funzionario discuteva di questioni legate alla lotta interna all'opposizione politica dell'Egitto, senza accorgersi di essere ascoltato dal testimone seduto al tavolo accanto. A un certo punto l'egiziano avrebbe cominciato a parlare del "ragazzo italiano", raccontando dei pedinamenti e delle intercettazioni telefoniche di cui era stato oggetto fino al 24 gennaio del 2016, vigilia della sua scomparsa. "Ci convincemmo che era una spia e scoprimmo che il 25 gennaio doveva incontrare una persona che ritenevamo sospetta", avrebbe detto l'ufficiale nella ricostruzione fatta dal testimone. "Per questo entrammo in azione quel giorno".

I cinque indagati

Il funzionario indicato dal testimone, scrive ancora il Corriere, sarebbe uno dei cinque che la Procura di Roma ha iscritto sul registro degli indagati. Secondo gli inquirenti, infatti, ci sono indizi sufficienti a ipotizzare il coinvolgimento del generale Sabir Tareq, del colonnello Uhsam Helmy, del maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, dell'assistente Mahmoud Najem e del colonnello Ather Kamal, all'epoca capo della polizia investigativa del Cairo e coinvolto anche nel depistaggio con cui si voleva chiudere il caso addossando ogni responsabilità a una banda di criminali comuni, uccisi in un presunto conflitto a fuoco.

Enzo Moavero Milanesi: "Giustizia per Giulio"

In un tweet la Farnesina ha fatto sapere che la decisione del ministro Moavero Milanesi è stata presa "nel forte auspicio che contribuisca al percorso di giustizia" sulla morte del giovane ricercatore italiano, "in coerenza con le assicurazioni in tal senso, più volte ricevute dalle autorità egiziane".

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