Brexit, 24 ore al voto decisivo - e una lezione da ricordare

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Liliana Faccioli Pintozzi

Identità e lavoro. Passato e futuro. Non importa quante bugie abbia raccontato la campagna del Leave; a fare davvero la differenza è stata la sua capacità di guardare e ascoltare gli elettori. Una lezione che nessun politico dovrebbe più dimenticare.

"Non ho niente da perdere, e sono stanca di non valere niente" - da una parte. "Non sopporto più questa attitudine di superiorità morale" - dall'altra. Una donna sulla cinquantina, reduce da anni "fottutamente difficili", inizialmente timida e incerta sull'opportunità di votare, alla fine arrabbiata e certa che solo il Leave le potrà restituire una voce. Un giovane uomo, bell'aspetto e belle speranze, istruttore di guida sicura, frustrato per una promozione persa a favore di una collega esponente di una minoranza etnica, innervosito dalla moglie "naïve", che "vive in una bolla", con la sua "correttezza politica" che le impedisce di capire come gira il mondo.

James Graham con il suo film "Brexit - the Uncivil War", e Jonathan Coe con il romanzo "Middle England" usano questi personaggi, questi simboli, per raccontare l'origine del terremoto-Brexit. Senza alcuna sottovalutazione del ruolo giocato dell'establishment, entrambi giungono alla stessa conclusione: non è stata (solo) una questione politica. E' stata una questione di identità, è stata una questione di ascolto. E anche se è difficile anche per loro, o per i loro personaggi, spiegare cosa sia quello "spirito britannico", quella "Inghilterra profonda" che tutti sembrano rimpiangere ripetendo come un mantra "un tempo non era così" e intendendo in realtà "un tempo era meglio di così", sanno che sono proprio quella tensione e quella nostalgia il motore più potente; insieme a un senso di rivalsa di chi da decenni non si sente ascoltato, né rappresentato. Condizioni economiche, ruolo sociale, paura del futuro dopo la crisi del 2008: tutto si mischia, alla base. Mentre il vertice vive in un mondo parallelo.

Così Coe racconta la combriccola di Eton, quel gruppetto di un tempo ragazzi che a 50 anni si ritrovano in Parlamento a litigare come litigavano nella Debate Hall di Oxford, in un mix mostruoso di ego, supponenza, superficialità, mancanza di empatia. Così Graham racchiude tutto in un dialogo fra Dominic Cummings - il Master della campagna per il Leave - e lo stratega di David Cameron: quando quest'ultimo lo accusa, di fatto, di aver legittimato i peggiori istinti e paure per rovesciare il sistema e vincere il referendum, Cummings non nega ma sottolinea: "questa situazione l'avete creata voi, noi l'abbiamo solo mostrata al mondo".

Ed è vero. La quinta potenza economica mondiale ha un quinto della sua popolazione che vive in povertà, una mobilità sociale assente, una società che ha abbandonato la "compassione" nei confronti dei più deboli per abbracciare un approccio punitivo e una (non) gestione delle tensioni sociali. Dati, e valutazioni, che arrivano dritte dal rapporto delle Nazioni Unite pubblicato nel novembre 2018 in cui si accusa il Governo di vivere in uno stato di "negazione" rispetto alle conseguenze che le sue politiche hanno avuto sul tessuto sociale.

Così la Brexit avrà pure spaccato il paese, ma in questi anni ha anche fatto da spugna e camera di compensazione evitando di vedere per le strade del Regno le proteste che avvengono in altre parti d'Europa; perché le radici delle rivolte del 2011 non sono state estirpate, anzi sono scese ancora più in profondità.

E' vero, dunque. Poi, certo, quel referendum è stato vinto anche grazie a una campagna perfetta nel messaggio e spregiudicata negli strumenti. A parte le indagini ancora in corso e la condanna per aver superato il tetto legale di contributi, è probabile che la storia racconterà come "game changer" la collaborazione con AggregateIQ, il loro microtargeting e soprattutto quei 3 milioni di potenziali elettori sconosciuti agli avversari, e ai sondaggisti. 

Ma questa realtà non deve offuscare la verità della Brexit: non è stata il risultato di una campagna referendaria; è stata la risposta carica di sfiducia, rabbia, rivendicazione e paura di un paese a cui per troppo tempo nessuno aveva posto alcuna domanda. Una lezione per la politica, per la stampa, per gli analisti.

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