Ancora nessun compromesso tra Londra e Bruxelles, ma prove tecniche di mediazione e richiami al calendario. La finestra per trovare l'accordo si sta chiudendo, Theresa May punta alla firma entro fine mese, ma Michel Barnier è scettico.
Di Geoffrey Cox avevamo già parlato qualche giorno fa. E a ragione: il Ministro della Giustizia del governo di Theresa May si sta rivelando sempre più centrale in queste (ultime?) settimane di negoziati tra Londra e Bruxelles. Centrale sia nel tentativo di chiudere l'accordo con l'Unione europea, sia nella speranza di ottenere, in caso, il via libera di Westminster.
E' infatti al suo Attorney General che il Primo Ministro ha affidato il compito di trovare la quadratura (legale) del cerchio (del confine irlandese). Trovare cioè la formula di compromesso sulla famigerata clausola di salvaguardia, non tanto nella sua forma visto che sembra ormai ci sia l'accordo per un mantenimento di tutto il Regno Unito in una Unione doganale con l'UE, quanto nella sua durata. Se infatti per Londra è necessario che non si trasformi in una situazione permanente, e se per Dublino è inaccettabile che il Regno Unito ne possa uscire in maniera unilaterale, la mediazione firmata Cox vedrebbe un "meccanismo di revisione" che coinvolgerebbe entrambi i protagonisti e che permetterebbe a Londra di lasciare l'Unione in determinate circostanze. Opzione che non dispiace a Dublino e che, spera Downing Street, sarà giudicata sufficiente anche a Bruxelles.
Siamo davvero, insomma, all'ultimo miglio. Di tutto il testo legale necessario per un'uscita ordinata il prossimo 29 marzo, questo è l'unico paragrafo ancora da scrivere. May spera di portarlo a casa nelle prossime 48 ore, ha chiesto ai suoi Ministri di rimanere a disposizione per una riunione di gabinetto dell'ultimo minuto, obiettivo chiudere con Bruxelles entro novembre, e con Westminster entro fine 2018.
Ed è qui che, nuovamente, potrebbe entrare in gioco Cox. Perché dai Brexiter duri e puri ai Democratici Nordirlandesi vitali per l'esecutivo fino ai Laburisti d'opposizione sono in tanti a chiedere che venga reso pubblico almeno ai membri della Camera dei Comuni il parere legale sull'eventuale accordo che il Primo Ministro porterà al voto. Ovvero, il parere di Cox. La sintesi è che nessuno si fida; e onde evitare decisioni su informazioni parziali, o mal interpretate, si vuole la certezza di una interpretazione in punta di legge, messa nero su bianco. Secondo il Financial Times per capire la gravità del momento e della situazione, il precedente cui guardare sarebbe il testo con cui l'allora Ministro della Giustizia Lord Goldsmith dichiarò "legale", da un punto di vista di diritto internazionale, l'intervento militare in Iraq. A Tony Blair non rimase che ringraziare, per la cronaca aveva vinto. Ma la Storia ricorderà quel parere in maniera ben diversa: il precedente difficilmente piacerà a Theresa May.
Tutte le considerazioni di Londra, però, devono fare i conti con Bruxelles. Lì dove l'ottimismo sembra decisamente più debole. Così, il capo negoziatore dell'Unione Europea Michel Barnier ha scandito che rimane ancora molto lavoro da fare, chiedendo al Regno Unito di prendere quelle decisioni che continua a rimandare; mentre il Primo Ministro irlandese Leo Varadkar ha dovuto ammettere che le possibilità di un accordo entro fine mese diminuiscono con il passare delle ore. Rimane sempre dicembre, ha poi aggiunto; un Consiglio europeo è già calendarizzato per il 13 e 14. "Arrivare nel nuovo anno non sarebbe buono", la posizione condivisa. E anche il Summit di dicembre potrebbe creare difficoltà alla May. Che vorrebbe convocare un voto a Westminster immediatamente dopo la firma dell'accordo, per lasciare meno spazio possibile alla controffensiva. Lo stesso Westminster che però terminerà i lavori il 20 dicembre. Insomma, nella clessidra c'è sempre meno sabbia. E su una cosa, a Whitehall, sono tutti d'accordo: in agenda, per il governo, non esiste altro che non sia la Brexit. D'altra parte è difficile pensare a qualcosa di più grande, e di più urgente.