Da Maybot a Dancing Queen, Theresa May riconquista la scena

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Liliana Faccioli Pintozzi

C'era chi temeva il mayday, ed invece è stato un May Day: ironica ed empatica, strategica e lungimirante, la Premier ha - di certo - cambiato stile e - forse - convinto il partito. Quanto a lungo, resta da vedere.

Che avesse un animo eccentrico, nonostante l'acconciatura minimal, lo hanno sempre raccontato le sue scarpe. A Birmingham non indossava le migliori, quelle leopardate; ma il tacco rosso faceva comunque sognare.

Dopo, è facile dire che - forse - ha esagerato. Che ha messo a rischio la dignità dell'occasione, e la sacralità della funzione. Eppure, non è necessariamente così. Perché con l'autoironia ha spuntato le armi degli avversari. Ha strappato una risata e più di un applauso, ha dimostrato di saper fare anche lei uno show - e sembrava dire, "capito Boris"?

D'altra parte, l'attacco di Dancing Queen degli Abba, poche mosse di danza (danza?) tra un saluto e l'altro, due battute sul pessimo exploit dell'anno scorso, tra attacchi di tosse e scenografia letteralmente a pezzi, il tutto è durato forse un paio di minuti. Poi, per un'ora, ha raccontato la sua visione, la sua strategia, i suoi risultati, i suoi obiettivi. Perché lo show non basta, e lei lo sa - ancora una volta, "capito Boris"?

E comunque, non è la prima politica di rilievo ad essere attaccata per atteggiamenti pubblici e personalità. Hillary Clinton lo sa bene, e forse non è un caso se entrambe hanno lo stesso stile di ballo (ballo?), un poco rigido ad essere gentili. Soprattutto non è un caso se entrambe le politiche hanno ricevuto per anni le stesse critiche: donne fredde e costruite, troppo serie e affatto empatiche.

Questa volta, May ha dimostrato che non è, per forza, così. Il siparietto iniziale ha rubato la scena, certo; ma  per tutto il discorso davanti alla platea dei delegati del Partito Conservatore riunito a Birmingham ha cercato il contatto visivo, o forse semplicemente cercava di capire chi sarà il prossimo Giuda; ha gesticolato, trasmettendo partecipazione; ha modulato la voce, lasciando trasparire le emozioni. Ha messo in gioco il suo privato.

Questa volta, e chissà se sarà solo per questa volta. Intanto, può essere soddisfatta. Gli alleati la applaudono; gli avversari congiurano; ma tutti devono ammettere che, per la prima volta in 17 mesi, sotto pressione ha portato a casa il risultato con stile.

Non solo per la sua attitudine, ma anche per quella. Ha restituito l'immagine di una leader stabile, in grado di affrontare i mal di pancia dei colleghi di partito, affatto timorosa di individuare l'avversario (Jeremy Corbyn) e andare all'attacco. Una leader sicura del suo piano per la Brexit. Chequers 2.0, lo hanno già soprannominato, perché rispetto al piano bocciato a Salisburgo pochi giorni fa le prime modifiche sarebbero già state individuate. Oggi, Theresa May non le ha elencate. I negoziati, e i compromessi, si fanno a porte chiuse. Oggi era il giorno dell'affermazione di forza e dichiarazione di leadership. Per convincere Bruxelles, Belfast, e Westminster, c'è ancora - poco - tempo.

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