Il Premier Giuseppe Conte sarà ricevuto oggi alla Casa Bianca da Donald Trump. Dazi, immigrazione, Libia, Tap, Nato, Russia, Unione europea tra i dossier sul tavolo che nascondono delle insidie.
Già in quei giorni arrivava l’invito alla Casa Bianca che si sta concretizzando in queste ore e nel frattempo ci sono stati altri attestati di stima con il Presidente americano che si è detto in sintonia con il pugno duro sull’immigrazione che sta usando il governo giallo verde, senza contare la visita di fine giugno in Italia del neo Consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton che prima di andare a Mosca per preparare l’atteso vertice di metà luglio tra Trump e Putin è voluto passare da Roma per incontrare i principali esponenti del nuovo esecutivo. Queste le premesse, ora bisognerà capire l’esito di questo incontro tenendo conto della teoria di Henry Kissinger su cui Trump ha costruito le fondamenta della sua politica estera: “L’America non ha amici permanenti o nemici permanenti, ma solo interessi nazionali” e tra questi ce ne sono alcuni che potrebbero confliggere con quelli di Roma.
Sui dazi grazie all'accordo raggiunto tra il Presidente americano e il presidente della commissione europea Jean Claude Juncker la scorsa settimana, la strada non appare più in salita, ma restano potenzialmente a rischio, nel caso di un nuovo inasprimento delle relazioni commerciali tra le due sponde dell’Atlantico, comparti strategici per l’Italia come le auto di lusso. Restando sulle questioni più strettamente economiche, sarà anche l’occasione per capire come si schiera il nostro paese sul fronte delle sanzioni statunitensi all’Iran che rischiano di costare all’Italia, primo partner commerciale in Europa per Teheran, interscambi per oltre 5miliardi di euro.
Più complesso il confronto sulla Tap, il gasdotto che dovrebbe portare il gas dal Mar Caspio al resto d'Europa usando il Salento come porta di ingresso. Qui il premier o meglio come lui si definisce, “l’Avvocato degli Italiani”, dovrà tirar fuori le sue doti di mediatore per trovare un equilibrio tra l'anima ambientalista del Movimento Cinque Stelle che si è opposta a più riprese al progetto, e gli Stati Uniti che hanno già chiarito di considerare geopoliticamente di grande rilevanza il corridoio Sud di cui la Tap fa parte per garantire al Vecchio Continente una sicura indipendenza energetica dal gas russo, favorendo quello dell’Azerbaijan, alleato degli americani nella regione. Altra questione delicata all'ordine del giorno, la Libia. Circa un anno fa, durante l'incontro con l'allora premier Paolo Gentiloni, il Presidente americano derubricò il dossier libico come “non di interesse nazionale per gli Stati Uniti”, molte cose sono, però, cambiate da allora soprattutto guardando alle affinità politiche tra Washington e Roma, definite dal Washington Post un "allineamento spirituale”. Affinità che oggi nello Studio Ovale, Conte potrebbe usare come leva per auspicare un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti in quella parte di Mediterraneo. In cambio, Washington potrebbe chiedere rassicurazioni sul capitolo dei nostri contributi di spesa per la Nato. L’Italia è ancora lontana dall’obiettivo comune degli Stati membri del 2% del Pil con Trump che all’ultimo vertice dell’Alleanza a Bruxelles un paio di settimane fa, ha auspicato che si cercasse di arrivare anche al 4%.
Tra le questioni su cui è immaginabile una più stretta collaborazione c’è poi, sicuramente, la distensione dei rapporti con la Russia, mentre più ostica potrebbe rivelarsi la partita strettamente europea con il Presidente americano che non ha mai fatto mistero di vedere la coalizione giallo-verde come un possibile interlocutore alternativo nell’Unione europea rispetto all’asse franco tedesco. Conte già al G7 in Canada rassicurava: “mantenere buone relazioni con gli Usa e andare in conflitto con i partner europei è una paura da accantonare”, ma al di là delle parole, oggi l’Italia potrebbe essere chiamata proprio a fare una serie di scelte di campo nella consapevolezza che, nonostante le assonanze, l’assunto “prima gli Italiani” su cui il nostro governo sta fondando le proprie linee di politica interna e internazionale rischia di mal conciliarsi con l’”America first” che ha portato (e sta mantenendo ben saldo) Donald Trump alla Casa Bianca.