Messico: chi è Andrés Manuel López Obrador, il presidente di sinistra

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Il nuovo presidente messicano, Andrés Manuel López Obrador (Getty Images)
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Il 65enne nuovo capo di Stato messicano ha ottenuto la vittoria al terzo tentativo. Di origini contadine, propone il taglio dei privilegi fiscali e misure per cancellare le disuguaglianze sociali. La sfida politica con Washington sembra appena iniziata

Il Messico ha svoltato a sinistra, eleggendo Andrés Manuel López Obrador. Il leader di "Morena" (Movimento di rigenerazione nazionale) conquista la presidenza del Paese al suo terzo tentativo dopo le candidature del 2006 e del 2012.

Meglio noto come Amlo

Classe 1953, Obrador, che tutti in Messico chiamano con l'acronimo Amlo, è a capo di una coalizione di partiti denominata “Insieme faremo la storia” e che vede insieme a Morena anche le due formazioni del Partito del Lavoro e del Partito Incontro Sociale. Già sindaco di Città del Messico, Obrador proviene da una famiglia umile e numerosa. Primo di otto figli, il padre Andrés López Ramón era un contadino impiegato anche come vigilante della compagnia Petróleos Mexicanos, mentre la madre Manuela Obrador González era figlia di un immigrante spagnolo originario della Cantabria. Amlo, nato e cresciuto nella zona rurale dello stato di Tabasco, si è trasferito in giovanissima età con tutta la famiglia nella sua capitale, Villahermosa. Da qui, muove i suoi primi passi nel mondo della politica all'interno del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) per poi abbandonarlo, nel 1988, e unirsi ai dissidenti di Cuauhtémoc Cárdenas e, infine, formare il Partito della Rivoluzione Democratica. Alla guida del Prd dal 1996 al 1999, Obrador ottiene risultati elettorali, fama politica a livello nazionale e la base per candidarsi alle elezioni del 2006.

Le elezioni perse

Alla sua prima candidatura, appoggiata dal Prd, dal Partito del Lavoro e dal movimento dei cittadini, Obrador perse la presidenza per mezzo punto percentuale (circa 250mila voti) a favore del candidato del Partito d'Azione Nazionale, Felipe Calderón. In quell'occasione le accuse di brogli elettorali, e un negato riconteggio delle schede, provocarono le proteste dei sostenitori di AMLO in tutto il Paese. Nel 2012 ritorna in campo ed è ancora secondo dietro Enrique Peña Nieto, candidato appoggiato dal Partito Rivoluzionario Istituzionale e dai Verdi che, questa volta, supera Obrador di oltre 3 milioni di voti. Le due sconfitte non lo fanno desistere dalla sua azione politica che, nel 2014, si concretizza nella fondazione di "Morena" (acronimo spagnolo per Movimiento Regeneración Nacional) che diventa nel giro di quattro anni la vera e propria forza partitica capace di portare Obrador alla vittoria presidenziale.

I punti del suo programma

Il candidato ha proposto un programma basato sul taglio dei privilegi fiscali e sull'attuazione di una politica di austerità. Fra i principali punti del suo programma, definito “populista” da molti detrattori, ci sono anche quello della lotta alla povertà, alla corruzione e alle disuguaglianze sociali. Diffidente, appassionato, laborioso e un oratore incendiario, López Obrador afferma di ispirarsi politicamente a Benito Juárez (un politico messicano del XIX secolo) e, socialmente, al generale Lázaro Cárdenas. Entrambe figure storiche di primo piano che hanno raggiunto la presidenza del Messico.

Le sfide della nuova presidenza

C'è un dato che più di tutti ha caratterizzato il voto messicano: quello di essere stato il più insanguinato della storia del Paese. Sono 133 i politici assassinati dall'8 settembre 2017, numero al quale si aggiunge quelli degli attacchi totali, 543, e delle minacce ai dirigenti politici, 179. Un vero e proprio stillicidio alla base del quale c'è l'enorme frammentazione criminale causata dalla lotta ai grandi cartelli del narcotraffico. Oltre a proseguire quest'ultima, senza lasciare il monopolio della violenza a gruppi criminali emergenti, Obrador dovrà fare i conti con una corruzione dilagante, attuare una necessaria riforma del sistema giudiziario e garantire la complessa gestione dell'ordine pubblico. E poi c'è la grande sfida dei temi legati alla riforma del Nafta (Accordo nordamericano per il libero scambio), già promossa dal Canada che si è già mosso verso il nuovo presidente messicano. Nella notte proprio il primo ministro canadese, Justin Trudeau, ha inviato un telegramma ad Amlo per congratularsi per la vittoria e dirsi “impaziente” di collaborare per aggiornare il Trattato. Chi osteggia il Nafta sono, invece gli Stati Uniti che non hanno perso occasione di esprimere un parere negativo nei confronti di Obrador, fin dalla campagna elettorale. L'ex ambasciatrice Usa in Messico, Roberta Jacobson, in carica fino a poche settimane fa, aveva dichiarato al “New Yorker” che "alcuni funzionari statunitensi sono molto pessimisti: se vince lui, accadrà il peggio".

"Tenderò la mano a Trump"

"Tenderemo la nostra mano franca alla ricerca di un rapporto di amicizia e di cooperazione con gli Stati Uniti", ha detto il leader populista di sinistra in un'intervista con la rete Televisa. Secondo molti, gran parte della crescente popolarità di Obrador è frutto dell'atteggiamento politico di Donald Trump, che col Messico ha optato per il pugno duro sull'immigrazione, attuando una politica della "tolleranza zero" che ha provocato episodi come quello dei bambini separati forzatamente dalle proprie famiglie al confine. Negli ultimi mesi sono anche arrivati i dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio. Un anno e mezzo di Trump alla Casa Bianca ha dato ulteriori punti a Lopez Obrador e alla sinistra più radicale messicana, aprendo la strada all'insediamento a Città del Messico di un governo molto ostile agli Stati Uniti

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