Sport e politica: tra proteste, dimostrazioni e boicottaggi

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L’Argentina non giocherà una gara amichevole di calcio contro Israele a causa di contestazioni palestinesi. Ma è solo l'ultimo caso: la storia dello sport è costellata di episodi in cui i match diventano un palcoscenico per mettere in campo contrasti e denunce sociali

Di Gianluca Maggiacomo

Dopo proteste palestinesi l'Argentina ha deciso di annullare la partita di calcio amichevole contro la nazionale israeliana in programma il 9 giugno a Gerusalemme. Questo è l'ultimo episodio in cui proteste di matrice politica si intrecciano con lo sport. Gare, match e giochi olimpici sono stati spesso teatro di dimostrazioni, denunce e boicottaggi (su questi temi guarda anche lo speciale Buffa racconta il 1968 su SkySport) . Ecco qualche esempio.

Il caso di Israele-Argentina

L'ultimo caso è quello che ha coinvolto la nazionale argentina di calcio. Messi e compagni dovevano disputare una amichevole contro Israele, ma sono arrivate innumerevoli richieste all’Albiceleste di annullare l’incontro. A chiederlo, per primo, è stato il presidente della Federcalcio palestinese, Jibrib Rajoub, che nel suo appello non aveva usato giri di parole: l'Argentina non venga a giocare con Israele a Gerusalemme altrimenti "milioni di fan palestinesi e arabi bruceranno la maglietta di Lionel Messi". Nella giornata del 5 giugno, mentre la nazionale sudamericana si stava allenando a Barcellona in vista dei mondiali, un gruppo di attivisti pro-Palestina si è presentato al campo con bandiere e magliette della nazionale con il numero 10 di Messi macchiate di sangue. Un episodio che ha definitivamente convinto la squadra a chiedere alla sua federazione di annullare la trasferta a Gerusalemme. E la richiesta è stata prontamente esaudita.

Sport e proteste anti-israele

Non è la prima volta che proteste contro Israele per la crisi in Medio Oriente sconfinano nello sport. Il nuotatore iraniano Mohammed Alirezaei, per esempio, in ben due occasioni si è rifiutato di scendere in vasca perché a gareggiare con lui in batteria c’era un atleta israeliano. La prima volta è successo alle Olimpiadi di Pechino, nel 2008, quando rinunciò ai 100 metri rana per non nuotare in vasca con Tom Beeri. La seconda, l’anno dopo, ai mondiali che si sono disputati a Roma, quando si ritirò dai 50 metri rana per la presenza in acqua di Mickey Malul. Episodi simili a quello che si è verificato ai mondiali di scherma del 2011, quando l’atleta tunisina Sarra Besbes, per protesta, rimase ferma di fronte all’avversaria, l’israeliana Noam Mills.

Città del Messico ’68: sul podio con il pugno chiuso

Proteste e dimostrazioni di matrice politica nello sport non riguardano solo i rapporti tra Israele e Palestina. Il caso probabilmente più eclatante e simbolico è quello che si è verificato ai giochi olimpici di Città del Messico nel 1968. Alla premiazione dei 200 metri gli atleti statunitensi Tommie Smith e John Carlos, con un oro e un bronzo al collo, ascoltarono l’inno americano con il pugno alzato, un guanto nero, simbolo del black power, i piedi scalzi, segno di povertà, la testa bassa e indossando una collanina di piccole pietre, simbolo, dissero, "di ogni nero che si batteva per i diritti ed è stato linciato". L’immagine ha fatto il giro del mondo e, ancora oggi, è uno degli scatti-simbolo del Novecento e, in generale, di un’epoca.

La Guerra del calcio

Sport e politica si sono incrociati anche per la breve guerra tra El Salvador e Honduras nel luglio del 1969 dopo l'espulsione, da parte di quest'ultimo, di circa 300mila immigrati salvadoregni. Il conflitto passerà alla storia come la Guerra del calcio, definizione dello scrittore e giornalista Ryszard Kapuściński. Il riferimento è allo scontro calcistico tra le nazionali dei due Paesi, disputatosi alla vigilia dello scontro bellico, per decidere chi doveva partecipare ai mondiali in Messico del 1970. Le gare, l’andata, il ritorno e lo spareggio, furono teatro di grosse proteste e scontri figli della difficile situazione diplomatica. Alla fine la vittoria andò a El Salvador. In Honduras la sconfitta contro gli acerrimi rivali fu recepita come un'ingiustizia. La sera stessa dello spareggio il governo dell'Honduras, dove nei giorni precedenti erano cresciute le violenze verso i salvadoregni rimasti (inclusi alcuni diplomatici), ruppe le relazioni diplomatiche con El Salvador. Era il preludio alla presa delle armi.

Panatta e la maglia rossa anti-Pinochet

Anche lo sport italiano è stato protagonista di proteste a livello internazionale. È accaduto nel 1976 alla finale di Coppa Davis di tennis che si è disputata in Cile. Erano gli anni della dittatura del generale Augusto Pinochet e nel nostro Paese il dibattito se partecipare o boicottare la competizione è stato lungo e ha coinvolto anche i partiti politici. Alla fine la linea che prevalse fu quella di scendere in campo. Ma non senza un segno di distinzione. Durante la finale di Santiago del Cile, poi vinta dall’Italia 4-1 proprio contro i padroni di casa, Adriano Panatta decise di indossare una maglia rossa: la scelta era una chiara protesta verso il generale Pinochet e i gerarchi del regime.

Olimpiadi e Guerra Fredda

Nel corso del Novecento, soprattutto durante la Guerra Fredda, le Olimpiadi sono spesso state teatro di proteste e boicottaggi. Nel 1980, in occasione dei giochi di Mosca, gli Stati Uniti e vari Paesi occidentali, ma non l’Italia, decisero di non inviare i propri atleti come forma di protesta per la recente invasione dell’Afghanistan da parte dell’Urss. Quattro anni dopo, in occasione dei giochi di Los Angeles 1984, arrivò la ritorsione da parte dell’Unione Sovietica che, insieme a molti Paesi dell’ex blocco comunista (ad eccezione della Romania di Ceausescu e della Jugoslavia di Tito) non presero parte alle competizioni.

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