L’imposta, varata dal parlamento, sarà di 200 scellini al giorno (circa tre centesimi di euro e mezzo). Esperti hanno però sollevato dubbi sull’applicazione di una norma, che porterebbe al controllo di 23 milioni di telefoni
Gli ugandesi che utilizzano Whatsapp, Facebook, Skype e altri social media "che favoriscono il pettegolezzo" dovranno pagare, a partire da luglio, una tassa giornaliera. Lo stabilisce, come segnala il sito della Bbc, una nuova legge approvata dal Parlamento dell'Uganda e che già viene additata dagli attivisti per i diritti umani come un tentativo di soffocare la libertà di parola. Si tratta, in sostanza, di una tassa da 200 scellini al giorno (circa tre centesimi di euro e mezzo), per gli utenti che utilizzano i social. Il presidente Yoweri Museveni l'ha definita necessaria a "far fronte alle conseguenze del gossip".
Dubbi sull'applicabilità dell’imposta
La tassa é inserita in un pacchetto di varie nuove imposte, tra cui una sui pagamenti elettronici, che ufficialmente servono per abbattere il debito pubblico. Il governo sta ora verificando se le sim degli oltre 23 milioni di telefoni presenti nel Paese siano tutte propriamente registrate. Esperti e service provider hanno però sollevato dubbi sull'applicabilità dell'imposta e sottolineato la difficoltà di identificare gli accessi ai social. Quando in marzo Museveni propose la tassa, critici del provvedimento sostennero che la legge in proposito avrebbe limitato la libertà di espressione. L'accesso ai social in Uganda fu bloccato durante le elezioni presidenziali del 2016 e Museveni, ora da oltre 30 anni al potere, spiegò che il provvedimento era stato preso per "fermare la diffusione di menzogne".
Altri Paesi africani stanno limitando l’accesso a Internet
L'Uganda è solo l’ultimo di una serie di Paesi dell’Africa dell’Est che stanno varando norme per limitare l’utilizzo di Internet. La corte della Tanzania il 29 maggio ha dichiarato ammissibile una legge che impone ai gestori di blog di pagare una licenza. Il 30 maggio in Kenya è passato un provvedimento sul cybercrime, che secondo alcuni attivisti punterebbe a ridurre la libertà di espressione.