Lo rivela il Washington Post svelando i dettagli di un'operazione del 2016. L'imbarcazione partita dalla Corea del Nord, ma battente bandiera cambogiana, è stata bloccata in prossimità del canale di Suez con un carico dal valore di 23 milioni di dollari
Un carico da 24mila granate con propulsione a razzo, più il materiale per costruirne altre 6mila,per un valore totale di 23 milioni di dollari. È questo il bilancio del maxi-sequestro avvenuto nei pressi del Canale di Suez, ai danni di un'imbarcazione proveniente dalla Corea del Nord, ma battente bandiera cambogiana, nell'agosto 2016. L'Onu lo ha definito "il più grande sequestro di armi nella storia delle sanzioni contro la Repubblica democratica popolare di Corea". A rivelare i dettagli della vicenda è un'inchiesta del Washington Post.
L'inchiesta
La nave protagonista della vicenda porta il nome di Jie Shun. Un'imbarcazione che - secondo quanto rivelano fonti vicine alle Nazioni Unite citate dal quotidiano statunitense - a stento avrebbe potuto immettersi in mare. Partita dal porto nord-coreano di Haeju il 23 luglio 2016, con 23 uomini a bordo, la nave era stata registrata a Phnom Penh e per questo sul suo albero maestro sventolava la bandiera cambogiana. Una pratica nota con il nome di "bandiera di comodo", utilizzata dall'imbarcazione per non attirare attenzioni sgradite in acque internazionali. A smascherare la copertura è però stata una segnalazione delle agenzie di intelligence americane che, dopo aver seguito la nave allontanarsi dalle acque della Corea del Nord, ne hanno seguito il percorso ed hanno inviato alle autorità egiziane un avvertimento sul vascello sospetto.
Il sequestro
Fermata dalle autorità egiziane quando non aveva ancora raggiunto il canale di Suez, la nave Jie Shun era poi stata sottoposta al controllo nel mese di agosto. In un primo momento il carico sembrava corrispondere a quello dichiarato: composto da 2300 tonnellate di limonite, un particolare minerale di colore giallastro-ocra. Tuttavia scavando sotto la pietra e ben nascosti sotto un telaio gli ispettori hanno trovato le armi. Granate e componenti che, secondo quanto rivelato dall'indagine Onu, non erano nuove – come lasciavano intendere le etichette poste su ognuna di esse – ma giacenze di magazzino, rivendute a prezzi più bassi rispetto a quelli del mercato. Una volta recuperate, le armi sono poi state distrutte sotto la supervisione degli ispettori delle Nazioni Unite.
Armi destinate all'Egitto
Destinatario finale delle armi, secondo il report delle Nazioni Unite citato dal Washington Post, sarebbe stato l'esercito egiziano. L'episodio avrebbe contribuito a inasprire i rapporti tra Washington e Il Cairo: pochi mesi prima della vicenda, infatti, durante un incontro tra Trump e Al-Sisi, il presidente statunitense aveva sottolineato pubblicamente il "magnifico lavoro" che il numero uno egiziano stava conducendo, ricordando però in privato l'importanza di rispettare le sanzioni alla Corea del Nord ed invitandolo "smettere di fornire aiuti economici e militari" a Pyongyang. Un'irritazione tradottasi nella decisione dell'amministrazione Trump di congelare lo stanziamento di 291 milioni di dollari di assistenza economica e militare all'Egitto.
Il commercio di armi del regime di Pyongyang
Il maxi-sequestro, evidenzia il Washington Post, porta alla luce il "poco conosciuto commercio di armi divenuto linfa vitale per il regime di Kim Jong-Un dopo le sanzioni comminate dall'Onu". L'Egitto però non sarebbe l'unico acquirente del regime nord-coreano: tra i nomi citati dal giornale statunitense figurano infatti anche Myanmar, Siria, Iran, Cuba ed Eritra, oltre al gruppo terroristico libanese Hezbollah.