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Brexit, i nove mesi che hanno portato al divorzio tra Ue e Regno Unito

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Immagine d'archivio - Foto: Getty

La Camera dei Comuni ha datto il via alla legge che permetterà a Londra di attivare l’articolo 50 del trattato di Lisbona. Ecco i passaggi che dallo scorso giugno hanno portato alla svolta storica

La Camera dei Comuni ha dato il via libera alla legge che permetterà al Regno Unito di attivare l’articolo 50 del trattato di Lisbona, avviando formalmente l'iter di divorzio di Londra dall'Unione europea. Intanto, nel corso della giornata, la premier scozzese Nicola Sturgeon ha dichiarato che la settimana prossima chiederà al Parlamento l’approvazione di un secondo referendum sull’indipendenza della Scozia. Ipotesi che ha già incontrato l’opposizione di Downing Street: una nota firmata dal primo ministro Theresa May afferma che un voto del genere causerebbe incertezza e ricorda che la secessione è già stata respinta nel 2014.

Si tratta delle ultime schermaglie di un cammino cominciato con il voto a favore della Brexit nel referendum del 23 giugno 2016 e che dovrebbe terminerà entro due anni dall’avvio ufficiale dei negoziati, i quali, dovrebbero iniziare proprio il 14 marzo.

 

La scelta di uscire dall’Unione – Il 23 giugno del 2016 oltre 17 milioni di persone, equivalenti al 51,9% dei voti, si è espressa a favore della Brexit attraverso un referendum consultivo (il Parlamento non era costretto a ratificarlo, per questa ragione è al voto una legge per attuare la volontà popolare). Il 24 giugno il primo effetto concreto della scelta referendaria: le dimissioni del primo ministro David Cameron. Il leader del partito conservatore era stato il promotore del referendum e nei mesi precedenti si era speso molto per il "remain", il fronte contrario all’uscita dall’Ue. Il giorno dopo la consultazione, Cameron ha deciso di fare un passo indietro affermando: "Il popolo britannico ha scelto una strada e ha bisogno di una guida per andare in quella direzione. Non è giusto che io sia il capitano che guiderà la nave verso la destinazione futura".

 

Un nuovo leader per i trattati – Tre settimane più tardi, il 13 luglio, il ministro dell’Interno Theresa May raccoglie l’eredità di Cameron e diventa la seconda donna della storia a capo del governo del Regno Unito, dopo Margaret Thatcher. Nonostante fosse stata una cauta sostenitrice del "remain",  May promette che "Brexit significa Brexit" e nomina come ministro degli Esteri il conservatore Boris Johnson, uno dei principali sostenitori dell'uscita dall'Unione. Il nuovo primo ministro, il 2 ottobre, annuncia l’intenzione di attivare l’articolo 50 del trattato di Lisbona entro marzo 2017, in modo da poter abbandonare l'Ue entro marzo del 2019.

 

Necessario il voto del governo – Un mese più tardi, il 3 novembre, l’Alta Corte di Londra accoglie in primo grado il ricorso presentato da Gina Miller, una donna d’affari e attivista eurofila, che chiede insieme a un gruppo di cittadini un passaggio parlamentare per discutere dell’attivazione dell’articolo 50. Il governo May presenta appello alla Corte Suprema che, però, il 24 gennaio 2017 respinge l’istanza con il voto di otto giudici contro tre. Il verdetto stabilisce anche che non ci potrà essere possibilità di veto sull'uscita dall'Ue da parte di Irlanda del Nord, Galles e Scozia.

 

Hard Brexit – Qualche giorno prima, il 17 gennaio, la premier Theresa May aveva illustrato un piano in 12 punti su un’uscita netta della Gran Bretagna dall’Unione europea. Tra le scelte più importanti c'erano la volontà di non essere più membri del mercato unico europeo e di riprendere il controllo dell'immigrazione dai Paesi europei. "Vogliamo un rapporto nuovo e alla pari con l'Ue", aveva precisato la premier, spiegando che non è possibile un’adesione "parziale" al club dei 28.

 

L’approvazione della legge e il libro bianco – Dopo il verdetto della Corte Suprema, il governo aveva presentato una legge in Parlamento per per l'avvio della Brexit ("Brexit Bill"), approvata a larga maggioranza (498 voti a favore) anche grazie all’adesione di tre quarti dei deputati dell'opposizione labourista. Tra i 114 contrari, invece, un solo conservatore. L'esecutivo ha presentato allora un Libro Bianco ("White Paper") per chiarire la strategia negoziale che verrà utilizzata: nel documentosi specifica anche l'impegno per "una nuova partnership" con Bruxelles.

 

Emendamenti alla legge – Nella prima settimana di marzo, la Camera Alta, quella dei Lord, ha approvato due emendamenti alla Brexit Bill. Il primo chiede all'esecutivo di garantire i diritti dei cittadini europei già residenti in Gran Bretagna (circa 3,3 milioni di persone); il secondo pone le basi per un nuovo voto vincolante sul risultato dei negoziati con Bruxelles, che garantirebbe un sorta di diritto di veto sull’esito delle trattative. Il governo era contrario ad entrambi gli emendamenti, che che sono stati bocciati dalla Camera dei Comuni lunedì 13 marzo- A questo punto la discussione tornerà alla Camera dei Lord, che al momento sembrano intenzionati a non proporre ulteriori modifiche. 

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