Per il professore di Linguistica il candidato repubblicano "è un megalomane" che "non ha idea di quello che dice". E se arrivasse alla Casa Bianca "l’impatto potrebbe essere davvero serio"
Lui, «probabilmente», voterà la verde Jill Stein: se lo può permettere, il Massachusetts è uno stato blindato per i democratici. Ma Noam Chomsky non mette Hillary Clinton e Donald Trump sullo stesso livello: «Bisogna chiedersi se il mondo sopravvivrebbe a una presidenza del repubblicano», ci dice il Professore emerito di Linguistica e Filosofia al Mit di Boston, da sempre voce critica del panorama intellettuale.
Professore, che radici ha questo fortissimo sentimento anti establishment in azione in queste elezioni?
«Abbiamo vissuto 30 anni di programmi neo liberisti che sono andati all’assalto della classe media lasciandola in stagnazione o in declino e minando di fatto la democrazia. Questo ha portato a razzismo, isteria anti-immigrati, e soprattutto a un senso di abbandono a 360 gradi. Qui, come in Europa».
Ma questo sentimento ha anche fatto sì che i due candidati alla Casa Bianca sembrano avere un approccio critico alla globalizzazione. Lei crede loro?
«No, di certo no. Per prima cosa, Trump non ha idea di quello che dice. È vero che questi trattati commerciali, come sostiene lui, stanno facendo del male ai lavoratori americani. Ma cosa potrà fare lui? La sua unica proposta è una tassa del 45% sull’esportazione cinese, ovvero sulla Apple – la corporation più grande degli Usa! - che assembla lì i suoi prodotti… Lei crede che lo farà davvero? Da parte sua la Clinton parlava di “gold standard”, ora invece li critica sotto le pressioni di Sanders. Di fatto lei non affronta i singoli elementi del trattato, mentre lui proprio non li conosce».
Eppure entrambi si propongono come «campioni» della middle e working class.
«Sono affermazioni calate dall’alto, vogliono solo comprare il tuo voto. Trump vuole eliminare qualsiasi azione governativa che aiuti la gente, mantenendo quelle che aiutano i super ricchi e i militari. Quando invece guardi il programma della Clinton, il più progressista da decenni grazie al movimento di Sanders, ti chiedi “ci crede veramente?”, ma non lo sai».
Parlando di Donald Trump, la vera novità, lei crede che i mass media lo abbiano aiutato?
«Non lo hanno creato, ma gli hanno dato un megafono, ne hanno amplificato l’effetto. In parte perché Trump vuole dire ascolti: loro devono vendere, e lui è facile da vendere. E poi ha il vantaggio di distogliere l’attenzione degli elettori dalle questioni importanti; nessuna delle sue posizioni viene ridicolizzata o diventa titolo quanto gli insulti via Twitter a Miss Universo alle 3 del mattino».
E il fatto che lui utilizzi così tanto Twitter cosa ci dice del suo messaggio politico?
«Fa parte della crescente cultura della superficialità, esprimi la tua opinione senza prove e senza capacità di sviluppare un ragionamento. L’uso che Trump fa di Twitter sembra giocare nel sistema sociale lo stesso ruolo funzionale del consumismo: evita che la gente si informi, indaghi, capisca».
A tre settimane dalle elezioni il partito repubblicano è sempre più spaccato; crede che sopravvivrà a Trump?
«Credo che la vera questione sia se il mondo sopravvivrebbe a una presidenza Trump. Se venisse eletto, l’impatto potrebbe essere davvero serio. Ad esempio su un dossier come la strategia nucleare possiamo dire che ci sarebbe un ignorante superficiale e megalomane che alle tre del mattino invece di prendersela con Miss Universo potrebbe dire “qualcuno ha rifiutato la mia offerta”, per poi premere il bottone e far esplodere il mondo… ».
Si parla molto del suo approccio nei confronti della Russia di Putin.
«È difficile capire quello che intende fare, spara opinioni in tutte le direzioni. Da un lato dice che dovremmo avere relazioni migliori con la Russia, ma dall’altro sostiene che dovremmo velocemente rafforzare il nostro dispositivo militare. Nessuno sa cosa farebbe, e probabilmente non lo sa neanche lui».
Ma lei crede davvero che Mosca stia cercando di influenzare le elezioni?
«È possibile, non mi sorprenderebbe. D’altra parte, noi non proviamo forse a influenzare le elezioni in altri Paesi, finanziando l’opposizione politica o giornalistica e sostenendo colpi di stato militari? È meno significativo rispetto ad hackerare le mail del Partito Democratico? Io non credo».