Usa 2016, in viaggio con Trump tra fan e sfere psichedeliche

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Paolo Mastrolilli, La Stampa

Il tycoon sfida Clinton e l’establishment repubblicano: “Sono corrotti”. A Panama City la folla invoca la rissa: “Rinchiudi in galera Hillary”

Volendo riassumere in maniera cruda ma efficace, Donald Trump se ne frega. «Batteremo il sistema», dice dietro le quinte del suo comizio a Panama City, dove per sistema intende tanto Hillary Clinton, quanto l’establishment del Partito repubblicano che lo ha abbandonato: «I voti li ho io, non i politici di professione che hanno tradito la gente. Me lo dicevano anche durante le primarie: sei indietro nei sondaggi, non puoi vincere. Poi però travolgevo tutti».


Viaggiare con la campagna di Donald Trump significa entrare nel suo mondo parallelo, che esista o no. Dopo lo scandalo dell’audio in cui insultava le donne, anche lo Speaker della Camera Ryan, il repubblicano più alto in carica nel Paese, ha smesso di difenderlo. Lui ha risposto massacrandolo via Twitter e ringraziando di avergli tolto i ceppi, così potrà scatenare la sua guerra nucleare contro i Clinton come vuole.


I suoi collaboratori però sono sempre gentilissimi, e mi danno appuntamento in un lussuoso albergo su Central Park South, per andare in Florida a seguire il primo comizio dopo lo scoppio della «guerra civile». La destinazione è Panama City, nel Nord dello stato appena colpito dall’uragano Matthew, dove nel 2000 Bush aveva demolito Gore. I sondaggi nazionali lo danno indietro di 9 punti, e quelli sulla Florida di 3: così non si va alla Casa Bianca, ma Trump è convinto che sbaglino. Lui pensa di poter attirare alle urne gli astensionisti, soprattutto quelli bianchi della classe media e bassa, che sono quasi il 40% dell’elettorato e quindi possono stravolgere qualunque modello di analisi o previsione.


Il bus della campagna ci porta al terminal per i jet privati dell’aeroporto LaGuardia, dove sulla pista aspetta l’aereo col marchio Trump Pence. Dentro, fra le poltrone tutte di prima classe, c’è appesa persino una palla con gli specchietti come quelle delle discoteche. I consiglieri di Donald preparano così il terreno: «Trump ha vinto la nomination nonostante l’establishment, non grazie ad esso, e quindi l’unica possibilità di vincere ancora a novembre è andare oltre l’establishment. I politici repubblicani di professione hanno perso le primarie perché non avevano i voti, il consenso degli elettori, che invece stanno con Donald perché promette di rilanciare l’economia, cancellare la riforma sanitaria di Obama, tagliare le tasse, denunciare i trattati per il commercio globale, costruire il muro lungo il confine col Messico e fermare gli immigrati illegali, distruggere l’Isis, nominare giudici della Corte Suprema che rispettano la Costituzione, e riportare legge e ordine in America.

 

Quindi possiamo sfidare il partito, fare appello alla base e attirare gli sfiduciati, per smentire tutti i pronostici». Se poi il Gop non lo seguirà, peggio per lui: i candidati che non si allineeranno con Trump provocheranno l’ira degli elettori, perdendo seggi alla Camera e soprattutto al Senato. Dicono che alcuni finanziatori stanno chiedendo i rimborsi, come si fa al supermercato con la merce avariata, ma la campagna smentisce. Quanto all’audio sulle donne, non è bello ma sono solo parole, mentre Bill Clinton le donne le abusava: «Se perderemo per questo, vorrà dire che l’America avrà deciso di voltare le spalle alla verità e alla sostanza».


Quando il corteo scortato dalle auto della polizia si avvia verso l’Aaron Bessant Park, il luogo del comizio all’aperto, la fila della gente che aspetta di entrare lungo la strada è impressionante. Per mostrarci il colpo d’occhio, ci fanno passare proprio dal palco, dietro al podio da cui Trump vedrà la folla: lui poi dirà che erano 11.000 persone dentro, e 10.000 fuori. La Woodstock di Donald, in sostanza, con fan tipo Abby che tengono in mano cartelli con su scritto «Bill è uno stupratore», e urlano senza sosta «lock her up!», chiudi Hillary in galera. Il pastore chiamato a fare l’invocazione prega Dio di proteggere Trump, perché «è il buon padre di cui ha bisogno l’America», mentre all’introduzione ci pensa Rudy Giuliani: «Questa elezione sarà una scelta fra l’establishment che vi ha sempre fregati, e il cambiamento. Hillary è l’establishment corrotto!».


Allora compare Donald e la Woodstock dei «deplorables», i deplorabili irredimibili come li ha chiamati Clinton, esplode: «Lock her up, lock her up!». Lui segue la linea annunciata dietro le quinte, aggiungendoci il carico: «Guardate quanti siete! Batteremo il sistema, e manderemo a casa tutti i politici che vi hanno traditi». Un inferno dove il posto d’onore aspetta soprattutto i repubblicani sleali, come Ryan: «Non voglio neppure il suo sostegno, e se vinco probabilmente dovrà trovarsi un’altra collocazione».


Il resto è tutto un attacco frontale a Clinton: «Se la manigolda Hillary vincerà, distruggerà il nostro Paese». Donald si lamenta che i media non hanno riportato a dovere le mail rivelate da WikiLeaks, con l’aiuto dell’intelligence russa secondo i democratici. Allora le racconta lui: «Dimostrano quanto è corrotta. Quando vincerò, nominerò un procuratore speciale per processarla». La gente venuta qui vuole sentire questo: rissa e rivoluzione. E Trump la offre, convinto che gli aprirà la porta della Casa Bianca.

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