Quando il post (e il trolling) sono un affare di stato
MondoDai rapporti tra Russia e Ucraina a quelli tra Usa e Iran, la diplomazia diventa sempre più digitale mutuando toni e stili dai social media. L'ultimo episodio ha visto protagonisti il presidente ucraino Poroshenko e Mark Zuckerberg. STORIFY
Alla fine anche il presidente Petro Poroshenko ha chiesto a Facebook di aprire un ufficio in Ucraina. L'inusuale richiesta è arrivata dopo che migliaia di suoi concittadini si erano lamentati perché, a loro parere, molti contenuti sul conflitto russo-ucraino condivisi da loro sulla piattaforma venivano ingiustamente cancellati. A operare la censura – secondo Poroshenko e i suoi connazionali – sarebbero stati i dipendenti della sede di Facebook in Russia, propensi a cancellare voci contrarie agli interessi del Cremlino. Per provare a rassicurare il numero uno ucraino è dovuto intervenire Mark Zuckerberg in persona specificando che la moderazione dei contenuti viene fatta in Irlanda e che non esiste nessun ufficio della sua azienda a Mosca o in altre città del Paese.
Controversia risolta? Chissà. Di certo l'episodio dimostra una volta di più come i social media siano ormai un luogo nel quale trovano spazio le diatribe internazionali e dove gli attori della politica e della diplomazia sono pronti ad agire, anche con toni inusuali. Una ulteriore conferma di questa tendenza è arrivata poche settimane fa quando il senatore americano repubblicano Tom Cotton ha dato del “codardo” al ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, che ha risposto invitandolo a evitare pose da “macho”. A fine aprile, invece, era stato l'ambasciatore Usa in Turchia a pubblicare una sua foto su Instagram con i capelli tinti. “Siamo tutti biondi”, aveva scritto in solidarietà con la portavoce del dipartimento di Stato del suo Paese apostrofata come “bionda” su Twitter dal sindaco di Ankara.
In alcuni casi, come quelli appena citati, gli attori politici e diplomatici sembrano lasciare da parte la tradizionale cautela delle relazioni internazionali per adattarsi allo stile dei social media, più diretto e spesso ironico. Qualcuno ha definito questo fenomeno“diplomazia del trolling”. Qui di seguito abbiamo raccolto e ricostruito in uno Storify alcuni degli episodi più recenti di questa tendenza.
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Controversia risolta? Chissà. Di certo l'episodio dimostra una volta di più come i social media siano ormai un luogo nel quale trovano spazio le diatribe internazionali e dove gli attori della politica e della diplomazia sono pronti ad agire, anche con toni inusuali. Una ulteriore conferma di questa tendenza è arrivata poche settimane fa quando il senatore americano repubblicano Tom Cotton ha dato del “codardo” al ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, che ha risposto invitandolo a evitare pose da “macho”. A fine aprile, invece, era stato l'ambasciatore Usa in Turchia a pubblicare una sua foto su Instagram con i capelli tinti. “Siamo tutti biondi”, aveva scritto in solidarietà con la portavoce del dipartimento di Stato del suo Paese apostrofata come “bionda” su Twitter dal sindaco di Ankara.
In alcuni casi, come quelli appena citati, gli attori politici e diplomatici sembrano lasciare da parte la tradizionale cautela delle relazioni internazionali per adattarsi allo stile dei social media, più diretto e spesso ironico. Qualcuno ha definito questo fenomeno“diplomazia del trolling”. Qui di seguito abbiamo raccolto e ricostruito in uno Storify alcuni degli episodi più recenti di questa tendenza.
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