Cina, le immagini censurate su Weibo

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Screenshot dell’applicazione creata da Pro Publica per navigare attraverso tutte le immagini censurate su Weibo in Cina
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La testata statunitense ProPublica ha raccolto le foto fatte rimuovere sul popolare servizio di microblogging. Ma anche in Occidente crescono le richieste governative di accesso ai dati degli utenti, come dimostrano i report di Google, Apple e Yahoo

di Nicola Bruno

Le foto della guerra in Corea e quelle più recenti di Bo Xilai (l’alto ufficiale condannato all’ergastolo. Le proteste delle donne poliziotto e gli scandali che coinvolgono alti ufficiali. Ma anche le vignette satiriche e i fotomontaggi con le papere gialle (utilizzate in sostituzione dei carri armati di piazza Tienamen).
Se negli anni a venire qualcuno analizzerà i contenuti condivisi su Weibo - il cosiddetto Twitter cinese che conta oltre 500 milioni di iscritti - si troverà di fronte a un enorme “buco della memoria”, dovuto ai tanti materiali che ogni giorno vengono rimossi. Proprio nel tentativo di salvare dall’oblio parte di questi contenuti, la testata online ProPublica ha avviato una lunga inchiesta per mappare quali sono le risorse maggiormente censurate su Weibo.

L’inchiesta di ProPublica - A differenza di altri progetti di ricerca - che hanno identificato quali sono le parole chiave che fanno scattare la censura - ProPublica si è concentrata sulle immagini e gli altri contenuti visivi più spesso presi di mira. Per oltre 5 mesi sono stati monitorati 100 account molto attivi su Weibo, in modo da tenere traccia delle immagini prima pubblicate e poi improvvisamente scomparse. Su 80.000 post, più del 5% sono stati cancellati dalla solerte macchina della censura di Weibo. In una fase successiva ProPublica ha analizzato 527 immagini scomparse da Weibo nell’arco di due settimane. Il tutto è stato poi raccolto in un’interfaccia interattiva che permette anche di navigare attraverso le tipologie di contenuto più prese di mira.

Sempre più richieste in Occidente
- Quando si parla di contenuti cancellati online, non bisogna però solo pensare alla Cina e agli altri regimi autoritari. Anche in Occidente i grandi fornitori di servizi web ricevono continue richieste da parte dei governi, come dimostrano i recenti “report sulla trasparenza” pubblicati da Google, Apple, Facebook, Yahoo, Microsoft, LinkedIn e Twitter.
Dall’ultimo aggiornamento del Transparency Report di Google emerge, ad esempio, che dal 2009 a oggi le richieste di informazioni sugli utenti nei confronti di Big G sono più che raddoppiate. Tra i paesi che fanno più richieste ci sono gli Stati Uniti (10.918 richieste nel periodo gennaio-giugno 2013), l’India (2691), la Germania (2311), la Francia (2011), il Regno Unito (1274). L’Italia è ottava con 901 richieste, in crescita rispetto alle rilevazioni precedenti. Google ha anche diffuso (in modalità oscurata) le richieste arrivate dagli Usa attraverso il controverso Foreign Intelligence Surveillance Act (Fisa), tornato di attualità con lo scandalo del datagate.
Nelle scorse settimane pure Apple ha rilasciato per la prima volta un Transparency Report (qui in pdf). Anche qui gli Stati Uniti sono il paese più attivo (tra le 1000 e le 2000 richieste), seguito da Regno Unito (127) e Spagna (102). L’Italia è settima con 60 richieste (di cui solo il 37% è stato accolto da Apple). Anche Yahoo e Facebook a fine ottobre hanno pubblicato i loro primi report, andando così a dare più consistenza al gruppo di colossi hi-tech che hanno scelto la trasparenza come strumento per tenere informati gli utenti sul trattamento dei loro dati. Un’esigenza tanto più sentita dopo lo scandalo delle intercettazioni online della Nsa.

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