Il premier inglese vuole imporre un sistema di blocco preventivo per i contenuti a luci rosse. Allo stesso tempo è allo studio una blacklist di termini che i motori di ricerca dovrebbero bloccare. Ma non tutti sono d'accordo
di Nicola Bruno
Il tema è all'ordine del giorno in molti paesi occidentali. E' il caso dell'Islanda (che sta lavorando a una legge per metterlo a bando) e della stessa Unione Europea (se ne è discusso in Parlamento lo scorso marzo). Ma quello britannico è il primo governo occidentale a farsi avanti con una serie di proposte precise per limitare l'accesso al porno online da parte dei minori. Con conseguenze legali e tecnologiche ancora tutte da verificare. Tant'è che il recente discorso di David Cameron (qui in versione integrale) ha aperto un grande dibattito nel paese, con l'opinione pubblica spaccata tra chi applaude al provvedimento, chi teme possa fare da apripista a nuove forme di censura e chi, invece, ritiene sia del tutto inefficace. In tutto ciò, anche i colossi del web iniziano a muoversi in maniera indipendente per filtrare meglio i contenuti illegali sulle proprie piattaforme.
Cosa prevede il provvedimento - L'obiettivo della proposta di Cameron è soprattutto la protezione dei minori: "l'impatto che Internet sta avendo sulla loro innocenza" e "le modalità con cui la pornografia online li sta corrompendo". Per questi motivi, il premier inglese vorrebbe introdurre un filtro obbligatorio per legge che vieterebbe l'accesso a qualsiasi forma di porno online. Gli utenti maggiorenni potrebbero sempre decidere di visualizzare i contenuti a luci rosse legali, ma solo dopo aver fatto "opt-out" dal filtro obbligatorio.
David Cameron ha poi proposto l'introduzione di una blacklist con una serie di termini da bloccare sui motori di ricerca: in questo caso l'obiettivo non è il porno, ma la limitazione delle immagini pedo-pornografiche illegali. Su questo punto, il premier inglese è stato molto duro con i colossi del web, da sempre contrari a simili liste: "Ho un messaggio molto chiaro per Google, Bing, Yahoo e gli altri. Avete il dovere di fare qualcosa, e si tratta di un dovere morale. Se ci sono ostacoli tecnici, non restate fermi dicendo che non si può far nulla; usate le vostre menti più brillanti per trovare delle soluzioni".
Cameron ha poi annunciato che sarà reso illegale il possesso di "pornografia estrema", come quella che rappresenta la simulazione di stupri.
Sarà efficace? - Se il discorso di Cameron è stato applaudito da molte associazioni che lottano per i diritti dei minori, diverse voci critiche hanno però sottolineato l'inadeguatezza dei filtri preventivi. Subito dopo l'annuncio del governo inglese, alcuni utenti hanno condiviso immagini con i wi-fi di luoghi pubblici (dove erano già attivi filtri) che vietavano l'accesso alle notizie del provvedimento di Cameron. E lo stesso problema ci potrebbe essere con pagine che parlano di prevenzione e salute sessuale.
C'è stato poi chi ha tirato in ballo il problema della definizione di cosa è porno e cosa no: se si attivano i filtri, non si potrà accedere a contenuti tipo "50 sfumature di grigio?". E che dire delle immagini osé che si trovano ogni giorno sui tabloid? Cameron ha garantito che in entrambi i casi non ci dovrebbe essere nessun filtro preventivo, ma ha riconosciuto la difficoltà di "tracciare una linea".
C'è poi chi ha ricordato che il problema della pedo-pornografia non è tanto il web, ma chi sfrutta e abusa dei minori: "Dobbiamo attaccare alla radice il problema, investire più denaro per i team di protezione dei minori, per il supporto alle vittime e alle forze di polizia sul territorio. Bisogna creare veri deterrenti, non una finestra pop-up di avviso di fronte alla quale molti pedofili si metteranno a ridere", ha spiegato, Jim Gamble, precedente direttore del Child Exploitation and Online Protection centre (CEOP). Un report recente del CEOP ha poi sottolineato come i produttori e distributori di immagini pedo-pornografiche usano sempre più spesso network criptati e non i classici servizi web.
Censura? - Al di là della sua efficacia, molte associazioni per i diritti civili hanno evidenziato i rischi dell'attuale proposta, che potrebbe "configurarsi come una forma di censura", secondo Padraig Reidy, dell'organizzazione Index on Censorship. Open Rights Group, altra associazione che lotta per i diritti online, ha poi sottolineato la pericolosità delle blacklist: "L'idea che proibendo alcuni termini nei motori di ricerca si riduce la pedo-pornografia online è un grande errore. Se esiste una lista nera, le persone inventeranno nuovi termini per condividere quello che vogliono".
Altro punto critico, ricorda l'esperto di tecnologia Ben Hammersley, è poi quello relativo all'elenco delle persone che decideranno di accedere al porno legale: si tratta di un'attività legittima per i maggiorenni, ma come verranno gestite queste informazioni sensibili?
Le reazioni dei colossi del web - Se da una parte i maggiori service provider britannici si sono già attivati per introdurre i filtri obbligatori dal prossimo autunno, diverso è il discorso per i colossi del web statunitensi. Attraverso un suo portavoce, Google ha dichiarato: "Abbiamo zero tolleranza nei confronti delle immagini con abusi sessuali sui minori. Appena le scopriamo, le rimuoviamo e segnaliamo alle autorità". Tutto ciò, però, non basta al governo inglese che vorrebbe in realtà azioni di filtro preventivo e non a posteriori. Microsoft sta da tempo utilizzando con successo PhotoDNA, tecnologia messa a punto per identificare le immagini pedo-pornografiche distribuite online.
Attualmente PhotoDNA è utilizzato dalla stessa Microsoft e da Facebook, e di recente anche Twitter ha fatto sapere di volerlo introdurre. Anche Google utilizza una tecnologia simile. Lo scorso giugno, il colosso d Mountain View ha poi annunciato che sarà vietato monetizzare con la pubblicità i blog pornografici che usano la propria piattaforma Blogger.com. Anche Tumblr, appena acquistato da Yahoo, ha introdotto nuove regole che vietano la ricerca dei post a luci rosse. Insomma, anche i colossi del web si stanno muovendo verso un'Internet ripulita dal porno, in linea con quello che già succede da tempo su smartphone e tablet, dove gli app-store vietano i contenuti a luci rosse.
Il tema è all'ordine del giorno in molti paesi occidentali. E' il caso dell'Islanda (che sta lavorando a una legge per metterlo a bando) e della stessa Unione Europea (se ne è discusso in Parlamento lo scorso marzo). Ma quello britannico è il primo governo occidentale a farsi avanti con una serie di proposte precise per limitare l'accesso al porno online da parte dei minori. Con conseguenze legali e tecnologiche ancora tutte da verificare. Tant'è che il recente discorso di David Cameron (qui in versione integrale) ha aperto un grande dibattito nel paese, con l'opinione pubblica spaccata tra chi applaude al provvedimento, chi teme possa fare da apripista a nuove forme di censura e chi, invece, ritiene sia del tutto inefficace. In tutto ciò, anche i colossi del web iniziano a muoversi in maniera indipendente per filtrare meglio i contenuti illegali sulle proprie piattaforme.
Cosa prevede il provvedimento - L'obiettivo della proposta di Cameron è soprattutto la protezione dei minori: "l'impatto che Internet sta avendo sulla loro innocenza" e "le modalità con cui la pornografia online li sta corrompendo". Per questi motivi, il premier inglese vorrebbe introdurre un filtro obbligatorio per legge che vieterebbe l'accesso a qualsiasi forma di porno online. Gli utenti maggiorenni potrebbero sempre decidere di visualizzare i contenuti a luci rosse legali, ma solo dopo aver fatto "opt-out" dal filtro obbligatorio.
David Cameron ha poi proposto l'introduzione di una blacklist con una serie di termini da bloccare sui motori di ricerca: in questo caso l'obiettivo non è il porno, ma la limitazione delle immagini pedo-pornografiche illegali. Su questo punto, il premier inglese è stato molto duro con i colossi del web, da sempre contrari a simili liste: "Ho un messaggio molto chiaro per Google, Bing, Yahoo e gli altri. Avete il dovere di fare qualcosa, e si tratta di un dovere morale. Se ci sono ostacoli tecnici, non restate fermi dicendo che non si può far nulla; usate le vostre menti più brillanti per trovare delle soluzioni".
Cameron ha poi annunciato che sarà reso illegale il possesso di "pornografia estrema", come quella che rappresenta la simulazione di stupri.
Sarà efficace? - Se il discorso di Cameron è stato applaudito da molte associazioni che lottano per i diritti dei minori, diverse voci critiche hanno però sottolineato l'inadeguatezza dei filtri preventivi. Subito dopo l'annuncio del governo inglese, alcuni utenti hanno condiviso immagini con i wi-fi di luoghi pubblici (dove erano già attivi filtri) che vietavano l'accesso alle notizie del provvedimento di Cameron. E lo stesso problema ci potrebbe essere con pagine che parlano di prevenzione e salute sessuale.
C'è stato poi chi ha tirato in ballo il problema della definizione di cosa è porno e cosa no: se si attivano i filtri, non si potrà accedere a contenuti tipo "50 sfumature di grigio?". E che dire delle immagini osé che si trovano ogni giorno sui tabloid? Cameron ha garantito che in entrambi i casi non ci dovrebbe essere nessun filtro preventivo, ma ha riconosciuto la difficoltà di "tracciare una linea".
C'è poi chi ha ricordato che il problema della pedo-pornografia non è tanto il web, ma chi sfrutta e abusa dei minori: "Dobbiamo attaccare alla radice il problema, investire più denaro per i team di protezione dei minori, per il supporto alle vittime e alle forze di polizia sul territorio. Bisogna creare veri deterrenti, non una finestra pop-up di avviso di fronte alla quale molti pedofili si metteranno a ridere", ha spiegato, Jim Gamble, precedente direttore del Child Exploitation and Online Protection centre (CEOP). Un report recente del CEOP ha poi sottolineato come i produttori e distributori di immagini pedo-pornografiche usano sempre più spesso network criptati e non i classici servizi web.
Censura? - Al di là della sua efficacia, molte associazioni per i diritti civili hanno evidenziato i rischi dell'attuale proposta, che potrebbe "configurarsi come una forma di censura", secondo Padraig Reidy, dell'organizzazione Index on Censorship. Open Rights Group, altra associazione che lotta per i diritti online, ha poi sottolineato la pericolosità delle blacklist: "L'idea che proibendo alcuni termini nei motori di ricerca si riduce la pedo-pornografia online è un grande errore. Se esiste una lista nera, le persone inventeranno nuovi termini per condividere quello che vogliono".
Altro punto critico, ricorda l'esperto di tecnologia Ben Hammersley, è poi quello relativo all'elenco delle persone che decideranno di accedere al porno legale: si tratta di un'attività legittima per i maggiorenni, ma come verranno gestite queste informazioni sensibili?
Le reazioni dei colossi del web - Se da una parte i maggiori service provider britannici si sono già attivati per introdurre i filtri obbligatori dal prossimo autunno, diverso è il discorso per i colossi del web statunitensi. Attraverso un suo portavoce, Google ha dichiarato: "Abbiamo zero tolleranza nei confronti delle immagini con abusi sessuali sui minori. Appena le scopriamo, le rimuoviamo e segnaliamo alle autorità". Tutto ciò, però, non basta al governo inglese che vorrebbe in realtà azioni di filtro preventivo e non a posteriori. Microsoft sta da tempo utilizzando con successo PhotoDNA, tecnologia messa a punto per identificare le immagini pedo-pornografiche distribuite online.
Attualmente PhotoDNA è utilizzato dalla stessa Microsoft e da Facebook, e di recente anche Twitter ha fatto sapere di volerlo introdurre. Anche Google utilizza una tecnologia simile. Lo scorso giugno, il colosso d Mountain View ha poi annunciato che sarà vietato monetizzare con la pubblicità i blog pornografici che usano la propria piattaforma Blogger.com. Anche Tumblr, appena acquistato da Yahoo, ha introdotto nuove regole che vietano la ricerca dei post a luci rosse. Insomma, anche i colossi del web si stanno muovendo verso un'Internet ripulita dal porno, in linea con quello che già succede da tempo su smartphone e tablet, dove gli app-store vietano i contenuti a luci rosse.