Sono stati rilasciati in territorio giordano i 21 uomini del contingente della missione Undof dell'Onu che erano stati rapiti dai Martiri di Yarmouk sulle Alture del Golan, vicino al confine con Israele
Lieto fine per la vicenda dei 21 caschi blu filippini rimasti intrappolati per tre giorni in un villaggio del sud-ovest della Siria, dopo essere stati fatti prigionieri da un gruppo di ribelli siriani. Gli stessi che hanno consegnato i militari dell'Onu alle autorità giordane, inseritesi in extremis e con successo nei negoziati in corso per ottenere la loro liberazione.
I 21 filippini, che assieme ai colleghi austriaci, indiani e croati costituiscono il contingente di un migliaio di uomini della missione Undof (attiva dal 1974 al confine provvisorio tra Siria e Israele), sono arrivati nella serata del 9 marzo ad Amman e da lì saranno probabilmente rimpatriati a Manila.
La soddisfazione di Ban Ki-moon - Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, si è detto soddisfatto del buon esito della vicenda, ricordando l'imparzialità dei membri delle missioni di pace Onu.
Ban ha inoltre ribadito la necessità di rispettare la libertà di movimento e la sicurezza degli osservatori, e di garantire la protezione dei civili.
I siriani della brigata ribelle "Martiri di Yarmuk" hanno pubblicato alcuni video che mostrano il passaggio dei 21 caschi blu dal territorio siriano a quello giordano: un guado sul fiume Yarmuk, che da secoli costituisce la frontiera naturale tra le due regioni.
Siria estranea ai negoziati - Le autorità di Damasco sembrano esser rimaste del tutto estranee ai negoziati per il rientro dei militari Onu.
Lo dimostrerebbe il fatto che ribelli, Nazioni Unite e giordani hanno scelto di passare attraverso uno dei valichi "informali" tra i due Paesi: lì i filippini sono stati condotti dagli insorti che avevano in precedenza messo in sicurezza un corridoio dal villaggio di Jamla fino al confine.
Giovedì 7 marzo un convoglio di alcuni mezzi dell'Onu con a bordo i militari di Manila era stato fermato a Jamla dai ribelli locali. In un video amatoriale questi avevano parlato di "cattura" e avevano fissato la "condizione per il rilascio degli osservatori": il ritiro delle forze del presidente siriano Bashar al Assad dalla zona di Jamla.
La seconda versione - All'indomani, i toni degli insorti erano mutati: i filippini non erano più "catturati" ma "ospiti, costretti a rifugiarsi a Jamla perché presi in mezzo al fuoco dei bombardamenti governativi".
Questa seconda versione era stata confermata, in un altro video, da uno dei caschi blu filippini prigionieri.
Venerdì sera, mentre dal Consiglio di sicurezza si chiedevano due ore di cessate il fuoco per permettere il recupero dei soldati della missione internazionale, un convoglio di Undof si era avvicinato a Jamla, ma era stato costretto a fare marcia indietro a causa di intensi bombardamenti.
Gli ultimi tentativi di liberazione - La circostanza è stata confermata da New York. nelle ultime ore, i ribelli di Jamla hanno affermato a più riprese di essere "pronti in ogni momento ad affidare all'Onu i filippini" ma di essere "costretti a trattenerli per non esporli al fuoco delle truppe di Assad, che - secondo gli insorti - hanno tentato a più riprese di ucciderli" nei bombardamenti per addossare la colpa a "bande armate di terroristi".
Un secondo tentativo di liberare i filippini era stato fatto nella giornata di sabato 9 marzo, sempre da nord, dal quartiere generale di Undof di Qunaytra, "ma il convoglio - sempre secondo i ribelli siriani - è stato fermato dall'esercito di Assad". Si è fatta quindi strada l'ipotesi di far passare i caschi blu verso sud, attraverso un territorio controllato dai ribelli. Infine, nel pomeriggio del 9, i 21 hanno potuto attraversare la frontiera con la Giordania e sono stati trasferiti ad Amman. Probabilmente ora - secondo alcuni osservatori - torneranno a casa, nelle Filippine.
I 21 filippini, che assieme ai colleghi austriaci, indiani e croati costituiscono il contingente di un migliaio di uomini della missione Undof (attiva dal 1974 al confine provvisorio tra Siria e Israele), sono arrivati nella serata del 9 marzo ad Amman e da lì saranno probabilmente rimpatriati a Manila.
La soddisfazione di Ban Ki-moon - Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, si è detto soddisfatto del buon esito della vicenda, ricordando l'imparzialità dei membri delle missioni di pace Onu.
Ban ha inoltre ribadito la necessità di rispettare la libertà di movimento e la sicurezza degli osservatori, e di garantire la protezione dei civili.
I siriani della brigata ribelle "Martiri di Yarmuk" hanno pubblicato alcuni video che mostrano il passaggio dei 21 caschi blu dal territorio siriano a quello giordano: un guado sul fiume Yarmuk, che da secoli costituisce la frontiera naturale tra le due regioni.
Siria estranea ai negoziati - Le autorità di Damasco sembrano esser rimaste del tutto estranee ai negoziati per il rientro dei militari Onu.
Lo dimostrerebbe il fatto che ribelli, Nazioni Unite e giordani hanno scelto di passare attraverso uno dei valichi "informali" tra i due Paesi: lì i filippini sono stati condotti dagli insorti che avevano in precedenza messo in sicurezza un corridoio dal villaggio di Jamla fino al confine.
Giovedì 7 marzo un convoglio di alcuni mezzi dell'Onu con a bordo i militari di Manila era stato fermato a Jamla dai ribelli locali. In un video amatoriale questi avevano parlato di "cattura" e avevano fissato la "condizione per il rilascio degli osservatori": il ritiro delle forze del presidente siriano Bashar al Assad dalla zona di Jamla.
La seconda versione - All'indomani, i toni degli insorti erano mutati: i filippini non erano più "catturati" ma "ospiti, costretti a rifugiarsi a Jamla perché presi in mezzo al fuoco dei bombardamenti governativi".
Questa seconda versione era stata confermata, in un altro video, da uno dei caschi blu filippini prigionieri.
Venerdì sera, mentre dal Consiglio di sicurezza si chiedevano due ore di cessate il fuoco per permettere il recupero dei soldati della missione internazionale, un convoglio di Undof si era avvicinato a Jamla, ma era stato costretto a fare marcia indietro a causa di intensi bombardamenti.
Gli ultimi tentativi di liberazione - La circostanza è stata confermata da New York. nelle ultime ore, i ribelli di Jamla hanno affermato a più riprese di essere "pronti in ogni momento ad affidare all'Onu i filippini" ma di essere "costretti a trattenerli per non esporli al fuoco delle truppe di Assad, che - secondo gli insorti - hanno tentato a più riprese di ucciderli" nei bombardamenti per addossare la colpa a "bande armate di terroristi".
Un secondo tentativo di liberare i filippini era stato fatto nella giornata di sabato 9 marzo, sempre da nord, dal quartiere generale di Undof di Qunaytra, "ma il convoglio - sempre secondo i ribelli siriani - è stato fermato dall'esercito di Assad". Si è fatta quindi strada l'ipotesi di far passare i caschi blu verso sud, attraverso un territorio controllato dai ribelli. Infine, nel pomeriggio del 9, i 21 hanno potuto attraversare la frontiera con la Giordania e sono stati trasferiti ad Amman. Probabilmente ora - secondo alcuni osservatori - torneranno a casa, nelle Filippine.