John Kerry in Italia, obiettivo: soluzione in Siria

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Il segretario di Stato americano è atterrato nel nostro Paese nel difficile scenario post voto. E a Roma, nella riunione sulla crisi siriana a cui partecipano 34 nazioni, gli Usa dovrebbero lanciare la loro proposta di aiuto ai ribelli

di Renato Coen, responsabile Esteri SkyTG24

John Kerry è atterrato in un’Italia bloccata dal risultato del voto, incerta sul proprio futuro, preoccupata per un’economia che per riprendersi ha bisogno di stabilità. Nel suo primo viaggio da capo della diplomazia americana dovrà necessariamente affrontare il difficile passaggio politico che sta vivendo il nostro paese. La difficoltà di formare un governo si riflette sulla sfiducia dei mercati e rischia di aggravare la crisi del debito. Washington ha già invitato l’Italia a formare presto un nuovo governo, mentre il Wall Street Journal in modo ben meno diplomatico ha titolato a proposito dei risultati elettorali: “Il peggior risultato che ci si potesse aspettare”. Oltre al ministro degli Esteri Terzi, Kerry incontra anche il premier Monti, Napolitano è in Germania. E con un presidente del Consiglio come Monti sconfitto dal voto e quasi irrilevante in Parlamento il messaggio di preoccupazione o quantomeno di interesse americano per la situazione politica in Italia è affidato più che altro all’ambasciatore americano a Roma David Thorne, intimo amico di Kerry e suo fidato consigliere.

Ma il motivo della visita del segretario di stato in Italia è la riunione sul futuro della Siria. A Roma si sono dati appuntamento i rappresentanti di 34 paesi. E da Roma, secondo quanto più volte anticipato dallo stesso Kerry, gli Stati Uniti dovrebbero lanciare la loro proposta di aiuto ai ribelli siriani. Non più solo appoggio logistico, ma armi, per lo più razzi antiaerei trasportabili a mano e addestratori. Gli aiuti umanitari inoltre non saranno più mandati tramite Ong e Croce Rossa Internazionale, ma affidati direttamente ai comitati dei ribelli. Si è calcolato che fino ad ora circa l’80% degli aiuti sono andati persi perché gestiti da operatori umanitari vicini ad Assad. In assenza di una seria prospettiva diplomatica Washington cerca di rafforzare la parte degli oppositori di cui più si fida.

La superiorità militare dei lealisti è ancora rilevante, anche perché possono contare sull’aviazione, e tra le file dei vari gruppi ribelli stanno prendendo il sopravvento i miliziani legati alla Jihad islamica e ai movimenti integralisti armati dall’Arabia Saudita. La paura è quella di gettare ulteriore benzina su un incendio già indomabile e di armare gruppi che potrebbero rivelarsi legati a movimenti terroristici. Ma l’amministrazione Obama vuole dare una svolta ad un conflitto che nell’inerzia internazionale ha causato già circa 70 mila vittime. E’ questa una delle sfide principali del secondo mandato del presidente, e spetta anche al neo nominato John Kerry riuscire a trovare il modo di mandare via Assad, evitare un nuovo Iraq, ed assicurare un futuro di stabilità alla Siria post rivoluzione.

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