Egitto, scontri e morti. I consiglieri di Morsi si dimettono

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Un'immagine degli scontri davanti al Palazzo presidenziale

Alta tensione tra manifestanti pro e contro il presidente: almeno cinque vittime e centinaia di feriti. Il vice Mekki apre alla possibilità di concordare con l’opposizione emendamenti al testo della Costituzione. Ma assicura: il referendum si farà

Si infiamma la protesta al Cairo dove le fazioni di pro e anti Morsi si sono scontrate, causando la morte di cinque persone. Solo dopo ore di tafferugli, lancio di sassi e bottiglie molotov - che hanno provocato oltre duecento feriti - è intervenuta la polizia anti sommossa per cercare di arginare la rabbia e riportare la calma in un situazione ad altissima tensione nella quale i due campi opposti si sono accusati reciprocamente di essere armati e di avere lanciato bottiglie incendiarie.

La politica ha tentato di trovare una via di uscita, ma senza successo. Il vicepresidente Mahmoud Mekki ha convocato una conferenza stampa per aprire al dialogo, offrendo alle opposizioni la possibilità di riscrivere gli articoli 'contestati' dalle opposizioni della nuova costituzione, ma confermando che il referendum si farà come previsto il 15 dicembre. Il Fronte di salvezza nazionale, che raccoglie i principali movimenti di opposizione, si è riunito di corsa per valutare la posizione della presidenza. Ma durante la riunione del 5 dicembre si è diffusa la voce che due persone - un attivista dei Fratelli musulmani e una giovane donna, Mirna Emad - erano morti negli scontri e la posizione delle opposizioni si è irrigidita. Mohamed el Baradei, ora capo del partito el Dostour, la Costituzione, ha affermato che il dialogo è condizionato al ritiro del contestato decreto col quale il presidente Mohamed Morsi ha reso inappellabili le sue decisioni davanti alla giustizia ed ha ridimensionato i poteri della magistratura. Baradei ha chiesto a Morsi di fare un discorso alla nazione nel quale rendere esplicita la volontà di dialogo, mentre il leader nasseriano Hamdin Sabbahi ha apertamente addossato al primo presidente dei Fratelli musulmani in Egitto la responsabilità per il sangue versato il 5 dicembre.

L'onda lunga delle proteste è arrivata fino all'interno del palazzo presidenziale che Morsi ha lasciato nel tardo pomeriggio di mercoledì 5 dicembre perché, hanno detto fonti della presidenza, aveva terminato le sue attività della giornata. Ma è il secondo giorno consecutivo che il presidente abbandona l'edificio mentre intorno è scatenato l'inferno. Primo uno, poi a seguire tutti i consiglieri di Morsi hanno deciso di dimettersi per protestare contro le morti dei manifestanti e perché non si vede una via di uscita alla crisi.

Anche al Azhar, centro teologico sunnita prestigioso, ha cercato di calmare le acque. Il gran imam Ahmed el Tayyeb ha fatto appello a tutti gli egiziani a ricorrere al dialogo pacifico e civile, anche se poco prima Baradei ha affermato che Morsi "deve porre fine allo spargimento di sangue, revocare la dichiarazione costituzionale, rinviare il referendum e avviare un dialogo immediato con le opposizione". "L'Egitto è sotto assedio", ha denunciato.

Mentre i manifestanti si fronteggiano ancora sul grande viale di fronte al palazzo di Ittahadeya, il premier egiziano Hisham Qandil li ha esortati a lasciare il campo di battaglia per dare una chance agli sforzi in corso per avviare il dialogo nazionale e far rientrare la crisi più dura e difficile che questo paese affronta dalla rivoluzione che ha deposto l'ex rais Hosni Mubarak nel febbraio dello scorso anno. Ad esprimere preoccupazione per il precipitare della crisi è stata il segretario di Stato Usa Hillary Clinton che ha invitato tutti ad un dialogo trasparente, reso "urgente" dagli eventi nelle strade egiziane. Ma malgrado tutti gli inviti e gli appelli, nella serata del 5 dicembre è arrivata la notizia che i manifestanti hanno appiccato il fuoco alla sede dei Fratelli musulmani a Ismailiya.

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