Venezuela, le elezioni che potrebbero cambiare il Paese

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Domenica 7 ottobre le presidenziali. Dopo tredici anni al potere, Hugo Chavez trova sulla sua strada un avversario che gli dà filo da torcere: Henrique Capriles Radosky, 40 anni, già sindaco e governatore dell’importante stato di Miranda

di Emiliano Guanella

Non succede, ma se succede. Il Venezuela vota per scegliere il suo nuovo presidente e per la prima volta Hugo Chavez non è sicuro della vittoria. Dopo tredici anni di governo il Comandante ha trovato sulla sua strada un avversario che gli ha dato filo da torcere; Henrique Capriles Radosky, 40 anni, già sindaco e governatore dell’importante stato di Miranda, è l’alfiere di un’opposizione più unita che mai, che ha saputo abbandonare i tempi della rabbia e dell’autoflagellazione e anche quelli dei golpe e degli scioperi ad oltranza.

Poca ideologia e tanti appelli ai mille problemi non risolti della rivoluzione bolivariana, primo fra tutti la violenza dilagante, con cifre da record soprattutto per quanto riguarda gli omicidi, quasi ventimila all’anno, settanta ogni fine settimana nella sola Caracas. Capriles ha girato per tre mesi il paese, sconfinando diverse volte in territorio nemico, fra i barrios e i ranchos delle periferie urbane dove Chavez ha sempre fatto man bassa di consensi.

“Hay un camino”, lo slogan di campagna, ossia c’è una strada, una via per uscire proprio dal chavismo. Il presidente non è certo rimasto a guardare, il suo comizio di fine campagna è stato apocalittico, con centinaia di migliaia di persone sotto la pioggia battente e il leader a spronare uno a uno ai suoi elettori. “Votate, fate votare, vigilate i seggi. Non cediamo ai facili trionfalismi, le elezioni bisogna vincerle sul campo di battaglia”.

Il Venezuela, così, si scopre ancora una volta profondamente diviso, ma siamo lontani anni luce dal clima di violenza esasperata nel quale si disputavano le elezioni negli ultimi anni. Chavez punta tutta sull’emotività, la stessa che ha fatto pregare per settimane il suo popolo quando si è scoperto che aveva un cancro che poi ha curato, nessuno sa con precisione fino a che punto, a Cuba. “Il Cuore della patria” è il suo slogan principale, più efficace, visto il momento, dei richiami eterni a Simon Bolivar e al socialismo e la lotta di classe, che solitamente usava.

Da una parte all’altra, tantissimi i giovani impegnati in politica: organizzati, determinati, vogliono incidere sul futuro del paese, sia esso tricolore, come i cappellini con la bandiera venezuelana che Capriles non abbandona mai o di rosso vivo, come le magliette e le camicie di chi partecipa alle missioni, i piani sociali che sono poi la vera spina dorsale di tutto il sistema chavista. L’ultimo di questi è la Gran Mision Vivienda, che parte dal progetto ambizioso di costruire almeno due milioni di case. Il centro di Caracas è pieno di cantieri, i nuovi appartamenti vengono consegnati a titolo gratuito o con mutui estremamente accessibili, i nuovi inquilini, manco a dirlo, giurano fedeltà eterna alla rivoluzione.

Impressionante il numero di inaugurazioni nelle ultime settimane; case, scuole, piazze pubbliche, una metropolitana leggera, teatri e così via. Lo Stato presente, alla vigilia del voto. Elezioni totalmente computerizzate, con l’opposizione che si fida ciecamente del nuovo sistema, almeno fino a quando arriveranno i risultati, nella notte, che si preannuncia molto lunga, tra domenica e lunedì.

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