Iran-Usa, la guerra fredda dei videogiochi

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Screenshot di Battle in Gulf of Aden, sparatutto realizzato dall’esercito iraniano e presentato all’ultimo Tehran Game Expo.
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Dopo le polemiche sui titoli statunitensi, il governo iraniano investe nello sviluppo di videogame vicini alle proprie battaglie politiche e religiose. Dalla fatwa contro Salman Rushdie alla lotta contro Israele

di Nicola Bruno

Si chiama “La faticosa vita di Salman Rushdie e l’implementazione del suo Verdetto” e già il titolo lascia intuire qual è lo scopo del gioco: portare a termine - a colpi di joystick e azioni sullo schermo - la fatwa emessa 23 anni fa dall’Ayatollah Khomeini nei confronti dello scrittore indiano. Seppure sia ancora in fase di sviluppo, il videogame è stato presentato come uno dei titoli di punta di Tehran Game Expo, la fiera videoludica più importante del Medio Oriente, giunta quest’anno alla sua seconda edizione. Come nei più noti eventi occidentali del settore (E3 e GamesCom), anche a Teheran si è cercato di dare visibilità alle tante compagnie locali  che hanno presentato 30 nuovi giochi sviluppati in Iran per qualsiasi piattaforma (qui una Gallery). Il tutto con lo scopo di creare un’alternativa al predominio occidentale nel mondo dei videogiochi che, secondo le autorità locali, sono uno strumento di propaganda politica. Un aspetto, questo, messo in luce dallo stesso Salman Rushdie che nel 2010 aveva detto: “Penso che il modo migliore per liberare l’Iran sia lanciare tante console Nintendo dall’alto”.

Valori positivi - Come spiegato sul sito ufficiale dell’evento e in questo servizio della tv di stato iraniana, scopo della fiera è “promuovere la cooperazione internazionale nei paesi islamici”, spingendo per la diffusione del sistema di rating iraniano Esra che, come fa lo standard europeo Pegi, offre una classificazione dei giochi in base all’età. Con la differenza, però, che quello iraniano prende in considerazione anche fattori come la presenza di droghe, scene di sesso e l’eventuale violazione dei valori religiosi. Per quanto negli ultimi anni siano stati realizzati diversi blockbuster in Iran, il mercato locale è ancora presidiato dai titoli occidentali, che spesso vengono censurati o finiscono sotto accusa. “Cerchiamo di incoraggiare la produzione e la diffusione di giochi con un contenuto positivo. Vogliamo dimostrare che qui in Medio Oriente possiamo essere dei magnati dei videogiochi", ha spiegato Muhammad Bi Taraf, Vice presidente dell’Associazione Iraniana dei Videogiochi. E anche da parte delle autorità religiose e politiche c’è pieno appoggio: “Fino a poco tempo fa avevamo solo due titoli sviluppati in Iran. Ma dopo che il tema dei videogiochi è entrato nell’agenda del Consiglio su ordine del Leader Supremo (l'Ayatollah Seyed Ali Khamenei ndr), abbiamo sviluppato 140 giochi con contenuti islamici e iraniani, in grado di competere con la concorrenza straniera”, ha dichiarato il segretario del Consiglio Supremo per la Rivoluzione Culturale.

Guerre videoludiche - Tanti investimenti sono dettati anche dalle numerose polemiche scoppiate negli ultimi anni sul fronte dei videogiochi. Lo scorso dicembre Teheran ha protestato duramente contro Battlefield 3, noto sparatutto della Electronic Arts le cui azioni di distruzione bellica sono ambientate anche nella capitale iraniana. Secondo le autorità locali, Battlefield contiene “molti difetti tecnici”, oltre a essere “inaccettabile” per la tematica affrontata. “Simili giochi - ha dichiarato di recente il Ministro della cultura iraniano - obbediscono a precisi scopi e, per questo, dovrebbero essere criticati dai media”. Oltre a bloccare la vendita di Battlefield 3 nei negozi iraniani, la Fondazione per i videogiochi di Teheran ha poi annunciato lo sviluppo di un contro-gioco dal titolo “Attack on Tel Aviv” (di cui però non si hanno notizie sullo stato di avanzamento). Nel frattempo proprio all’Expo della scorsa settimana è stato presentato “Battle in Gulf of Aden” (qui il trailer), il primo videogame di guerra finanziato dall’esercito di Teheran in cui si inscena una battaglia tra le forze iraniane e i pirati del golfo di Aden, città dello Yemen.

Spionaggio e misteri
- Nella guerra fredda digitale tra Iran e Usa non mancano poi i gialli diplomatici e le accuse di spionaggio. E’ questo il caso di Amir Mirzaei Hekmati, un ex marine statunitense condannato a morte in Iran in quanto avrebbe lavorato sotto “copertura della CIA” per diffondere videogiochi filo-occidentali nel paese. La sentenza di morte nei confronti dell’ex marine è stata per ora sospesa e un nuovo processo è ora partito. Secondo l’accusa, Hekmati sarebbe stato assunto da Kuma Games, società che sviluppa giochi sulla “guerra globale al terrorismo” statunitense  e che, come riportato da alcune testate del settore, avrebbe ricevuto finanziamenti dal Dipartimento della Difesa Usa. I giochi di Kuma Games hanno spesso provocato proteste. Basti pensare che due dei suoi titoli più noti riguardano l’uccisione di Osama bin Laden e dei figli di Saddam Hussein. Un altro videogioco del 2005 dal titolo “Assault on Iran” immaginava, invece, l’assalto delle forze statunitensi su Teheran. Proprio in protesta contro questi ed altri giochi, nel 2007 l’Associazione Islamica degli studenti iraniani - la stessa che ha ora annunciato il videogioco sulla fatwa contro Salman Rushdie - ha rilasciato “Special Operation 85”, uno sparatutto in 3D che fa vivere le avventure di un agente dei servizi segreti iraniani chiamato a liberare due scienziati nucleari rapiti dalle forze statunitensi.

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