Wachiturros, il gruppo che avrebbe fatto infuriare Lacoste

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Il gruppo dei Wachiturros
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In Argentina scoppia lo scandalo contro la marca d'abbigliamento francese. Avrebbe offerto soldi alla più celebre boyband del paese per fargli cambiare vestiti. Tutti smentiscono, ma intanto la polemica infuria

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di Emiliano Guanella

Sono adolescenti, ballano e cantano, sono famosissimi fra i loro coetanei e sembrano dare parecchio fastidio ad una delle marche d’abbigliamento più conosciute del mondo. Gli Wachiturros, cresciuti nelle periferie povere di Buenos Aires, età media 14 anni, sono la banda pop del momento in Argentina. Fenomeno nato come espressione della cultura under ancor prima di esplodere nei media, oggi sono delle stelle acclamatissime; da giovedì a domenica macinano centinaia di chilometri per offrire una cinquantina di shows ai loro fans in discoteche, teatri, piazze. La loro musica è un misto di rap e cumbia, più melodica del reggaeton. Il loro abbigliamento ha un’unica costante; magliette, camicie e cappellini rigorosamente marca Lacoste al punto che migliaia di giovani delle periferie della capitale argentina hanno iniziato a vestirsi come loro. Una moda costosa, visto che una polo costa fra i 300 e 500 pesos (da 50 a 65 euro), quasi quanto il salario di una settimana di un operaio non qualificato, ma che non conosce limiti.

La Lacoste si è trovata così a fare i conti con un nuovo pubblico che si discosta parecchio dal target top dal reddito alto associato in Sudamerica alla marca del coccodrillo.  Mal di testa per gli esperti di marketing, al punto che, come ha dichiarato Zimon Samuel, il cantante e leader degli Wachiturros, uno dei responsabili della firma avrebbe offerto al gruppo un importante somma di denaro per smettere di usarle. Accusa smentita poi dal manager della banda e dal responsabile di Lacoste Argentina, ma la polemica nel frattempo è uscita su tutta i giornali. “Non ci permetteremo mai di fare una cosa del genere - ha detto Rudy Gotlih di Lacoste – non possiamo decidere chi indossa o meno i nostri capi d’abbigliamento”. Elian Fernandez, alias Bazooka, rappresentante del gruppo ha detto che si è trattata di una boutade. “I ragazzi a volte provocano, nessuno gli impone i vestiti da usare durante gli show, lo fanno senza ricevere niente a cambio e nessuno ha mai voluto condizionarli”. Fernandez ha confessato che agli inizi le polo erano false, comprate nel maxi mercato della Salada, il suk all’aperto più grande d’Argentina, ma che con i primi proventi la banda ha iniziato a rifornirsi nei negozi ufficiali. Non è il primo caso di marche in imbarazzo. Alla Lacoste è successa la stessa cosa con Anders Behring Dreivik, il killer norvegese responsabile del massacro all’isola di Utoya. E che dire del leader cubano Fidel Castro che si è presentato al pubblico convalescente con una tuta marcata Adidas? Per le grandi firme d’abbigliamento il testimonial scomodo può diventare un problema, ma non resta altro che rassegnarsi; il pubblico non sempre viene deciso dalla marca.

I Wachiturros:

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