"Se le autorità di un Paese lo chiederanno, bloccheremo i tweet" ha fatto sapere la società con una nota. E' l'unico modo, spiega il social network, per sbarcare in Stati con differenti posizioni sulla libertà di espressione. Ma gli utenti non ci stanno
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La censura sbarca su Twitter. Il social network simbolo della libertà di espressione per eccellenza, che ha giocato un ruolo cruciale nella primavera araba, cambia. Da San Francisco, la società ha annunciato la messa a punto di una nuova tecnologia in grado di censurare i messaggi paese per paese, se ci sarà una richiesta in questo senso da parte delle autorità locali.
"Man mano che cresciamo a livello internazionale, andiamo in paesi con differenti posizioni in materia di libertà di espressione", ha scritto l'azienda di San Francisco nel suo comunicato.
"Alcune nostre idee differiscono così tanto che non potremmo esistere lì". E poi: "Non abbiamo ancora utilizzato questa opzione, ma se un Paese ci chiederà di bloccare un tweet proveremo a contattare l'utente e indicheremo chiaramente quando il messaggio è stato bloccato. Il contenuto sarà fermato in un Paese, ma visibile nel resto del mondo. Non rimuoveremo post in base al loro contenuto".
La decisione può avere un senso in paesi come Germania e Francia, dove sono proibiti i messaggi neonazisti e antisemiti, mentre negli Stati Uniti il primo emendamento della Costituzione garantisce a tutti una libertà totale di parola.
E in Cina, dove Twitter è ancora proibito e dove vuole sbarcare appena possibile, rischia di porre seri freni alla dissidenza e alla libertà di espressione, anche se i responsabili del social network spiegano (come aveva fatto Google in passato con il suo motore di ricerca censurato, suscitando un putiferio) che l'espansione mondiale dei cinguettii passa attraverso decisioni di questo tipo, anche per evitare il carcere ai dipendenti locali. Meglio quindi essere un po' censurati ma esserci. Soprattutto perché il mercato cinese, con le sue centinaia di milioni di utenti, fa sempre più gola ai colossi del web e dei social network, pronti a fare concessioni anche dolorose per sedurre le autorità di Pechino.
"Se Twitter inizia a censurare, smetterò di cinguettare" ha fatto sapere il noto artista dissidente cinese Ai Weiwei e quando i responsabili dell'account Twitter @aiwwenglish, che traducono in inglese i cinguettii di Ai Weiwei, hanno messo in Rete il suo tweet redatto in ideogrammi (e naturalmente non visibile in Cina), in un attimo, sono stati raggiunti migliaia di utenti in tutto il mondo, che a loro volta hanno 'ritwittato' il messaggio, aggiungendosi agli oltre 120mila seguaci originali del dissidente. E nel sito di microblogging è partita la protesta con l'annunico di un #Twitterblackout per il 28 gennaio. Ma c'è anche chi sostiene che il nuovo sistema non è in realtà così negativo per gli attivisti, perché Twitter non rimuoverà i tweet tutte le volte che gli verrà chiesto e perché bloccando il singolo tweet, non si permetterà ai regimi di togliere il servizio a tutti.
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La censura sbarca su Twitter. Il social network simbolo della libertà di espressione per eccellenza, che ha giocato un ruolo cruciale nella primavera araba, cambia. Da San Francisco, la società ha annunciato la messa a punto di una nuova tecnologia in grado di censurare i messaggi paese per paese, se ci sarà una richiesta in questo senso da parte delle autorità locali.
"Man mano che cresciamo a livello internazionale, andiamo in paesi con differenti posizioni in materia di libertà di espressione", ha scritto l'azienda di San Francisco nel suo comunicato.
"Alcune nostre idee differiscono così tanto che non potremmo esistere lì". E poi: "Non abbiamo ancora utilizzato questa opzione, ma se un Paese ci chiederà di bloccare un tweet proveremo a contattare l'utente e indicheremo chiaramente quando il messaggio è stato bloccato. Il contenuto sarà fermato in un Paese, ma visibile nel resto del mondo. Non rimuoveremo post in base al loro contenuto".
La decisione può avere un senso in paesi come Germania e Francia, dove sono proibiti i messaggi neonazisti e antisemiti, mentre negli Stati Uniti il primo emendamento della Costituzione garantisce a tutti una libertà totale di parola.
E in Cina, dove Twitter è ancora proibito e dove vuole sbarcare appena possibile, rischia di porre seri freni alla dissidenza e alla libertà di espressione, anche se i responsabili del social network spiegano (come aveva fatto Google in passato con il suo motore di ricerca censurato, suscitando un putiferio) che l'espansione mondiale dei cinguettii passa attraverso decisioni di questo tipo, anche per evitare il carcere ai dipendenti locali. Meglio quindi essere un po' censurati ma esserci. Soprattutto perché il mercato cinese, con le sue centinaia di milioni di utenti, fa sempre più gola ai colossi del web e dei social network, pronti a fare concessioni anche dolorose per sedurre le autorità di Pechino.
"Se Twitter inizia a censurare, smetterò di cinguettare" ha fatto sapere il noto artista dissidente cinese Ai Weiwei e quando i responsabili dell'account Twitter @aiwwenglish, che traducono in inglese i cinguettii di Ai Weiwei, hanno messo in Rete il suo tweet redatto in ideogrammi (e naturalmente non visibile in Cina), in un attimo, sono stati raggiunti migliaia di utenti in tutto il mondo, che a loro volta hanno 'ritwittato' il messaggio, aggiungendosi agli oltre 120mila seguaci originali del dissidente. E nel sito di microblogging è partita la protesta con l'annunico di un #Twitterblackout per il 28 gennaio. Ma c'è anche chi sostiene che il nuovo sistema non è in realtà così negativo per gli attivisti, perché Twitter non rimuoverà i tweet tutte le volte che gli verrà chiesto e perché bloccando il singolo tweet, non si permetterà ai regimi di togliere il servizio a tutti.