Tunisia un anno dopo: disoccupati record, crescono i suicidi
MondoDodici mesi dopo la caduta di Ben Alì, la vera emergenza nel Paese è la situazione economica. E secondo la Bbc, il numero di persone che si sono date fuoco è quintuplicato. Sull'esempio dell'ambulante Mohammed Bouazizi, che diede inizio alle rivolte
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Il 5 gennaio scorso un uomo poco più che quarantenne, padre di tre figli, si reca davanti al governatorato di Gafsa, popolosa città dell'entroterra tunisino. Lì lo attendono altri uomini, disoccupati come lui, impegnati in un sit-in per chiedere un colloquio con le autorità locali. Il quarantenne si unisce alla protesta che va avanti da giorni. A un certo punto, in preda allo sconforto, si alza e si allontana.Torna poco più tardi con una tanica di benzina e si dà fuoco davanti alla gente terrorizzata. Morirà poche ore più ore più tardi, per le ustioni riportate, nello stesso ospedale dove circa undici mesi prima aveva esalato l'ultimo respiro Mohammed Bouazizi, il primo martire della Primavera Araba.
Questo recente fatto di cronaca sembra assomigliare a un triste cerchio che si chiude, soprattutto se si pensa che non è un fatto isolato. Nel Paese dei Gelsomini, infatti, lontano dall'attenzione dei media internazionali più interessati al turbolento Egitto, a un anno dalla caduta di Ben Alì, si sta assistendo a un drammatico incremento di suicidi di questo tipo. Nei soli primi sei mesi dopo la morte del giovane 27enne originario di Sidi Bouzid, almeno 107 persone si sono tolte la vita tra le fiamme.
Un testimone che ha visto l'uomo di Gafsa morire ha raccontato: "Aveva chiesto di incontrare i ministri ma non ha ottenuto alcuna risposta. A quel punto si è cosparso di benzina senza dire una parola".
Darsi fuoco non è solo un modo per uccidersi: equivale a un ultimo grido disperato per ottenere quell'attenzione ripetutamente chiesta e sempre negata. Le persone che compiono questo gesto che sarà, con ogni probabilità, l'ultimo della propria vita, sono nella maggior parte dei casi poveri provenienti dalle aree rurali. Tendenzialmente non sono sposati e hanno un basso livello di scolarizzazione. Ma il dato più importante che li accomuna è un altro: non hanno lavoro e non sono riusciti a trovarlo nonostante ripetuti tentativi. Si sono arresi di fronte a un muro di indifferenza e corruzione diffusa.
Mentre dunque l'Occidente guarda con sospetto alla presunta "svolta islamica" della Tunisia del post Ben Alì (un dittatore che ha saccheggiato il proprio Paese per 23 anni), ciò che preoccupa realmente i tunisini che l'ottobre scorso hanno avuto le prime elezioni libere per formare la Costituente è altro: l'alto tasso di disoccupazione. Secondo le stime più recenti, almeno il 14% della popolazione è senza lavoro: una percentuale in leggera crescita rispetto al 2010. Ma c'è anche altro deve fare riflettere. In una società estremamente giovane come quella tunisina, questa percentuale sale al 30,7% nella fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni.
All'indomani delle elezioni che hanno visto il chiaro successo degli islamici moderati di Ennadha, l'attuale presidente della Repubblica, il leader del partito di sinistra (nazionalista) Cpr, Moncef Marzouki, aveva commentato al microfono di SkyTG24: "Il vero problema di questo Paese non è certo la dicotomia, pur esistente, tra laicità e islamismo, ma la disoccupazione e un'economia che langue". Certo, la mancanza di uno sviluppo democratico sarebbe un ulteriore, serio ostacolo alla crescita anche economica della Tunisia, ma almeno per il momento non sembra esistere questo rischio, in un Paese seriamente impegnato a redigere la nuova Costituzione prima di andare una seconda volta a votare.
A un anno esatto dalla fuga di Ben Ali (ora in Arabia Saudita, raggiunto da una prima condanna in contumacia a 35 anni di prigione), l'emittente britannica BBC ha potuto accertare che il numero di persone che si sono date fuoco è quintuplicato negli ultimi dodici mesi. E' anche su questi aspetti che deve riflettere l'Occidente, e l'Europa in particolare, quando si guarda alla sponda sud del Mediterraneo. E' per questo motivo che gli sbarchi continueranno con ogni probabilità ad essere numerosi sulle nostre coste: la democrazia, da sola, non riempie le pance. In nessuna parte del mondo.
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Questo recente fatto di cronaca sembra assomigliare a un triste cerchio che si chiude, soprattutto se si pensa che non è un fatto isolato. Nel Paese dei Gelsomini, infatti, lontano dall'attenzione dei media internazionali più interessati al turbolento Egitto, a un anno dalla caduta di Ben Alì, si sta assistendo a un drammatico incremento di suicidi di questo tipo. Nei soli primi sei mesi dopo la morte del giovane 27enne originario di Sidi Bouzid, almeno 107 persone si sono tolte la vita tra le fiamme.
Un testimone che ha visto l'uomo di Gafsa morire ha raccontato: "Aveva chiesto di incontrare i ministri ma non ha ottenuto alcuna risposta. A quel punto si è cosparso di benzina senza dire una parola".
Darsi fuoco non è solo un modo per uccidersi: equivale a un ultimo grido disperato per ottenere quell'attenzione ripetutamente chiesta e sempre negata. Le persone che compiono questo gesto che sarà, con ogni probabilità, l'ultimo della propria vita, sono nella maggior parte dei casi poveri provenienti dalle aree rurali. Tendenzialmente non sono sposati e hanno un basso livello di scolarizzazione. Ma il dato più importante che li accomuna è un altro: non hanno lavoro e non sono riusciti a trovarlo nonostante ripetuti tentativi. Si sono arresi di fronte a un muro di indifferenza e corruzione diffusa.
Mentre dunque l'Occidente guarda con sospetto alla presunta "svolta islamica" della Tunisia del post Ben Alì (un dittatore che ha saccheggiato il proprio Paese per 23 anni), ciò che preoccupa realmente i tunisini che l'ottobre scorso hanno avuto le prime elezioni libere per formare la Costituente è altro: l'alto tasso di disoccupazione. Secondo le stime più recenti, almeno il 14% della popolazione è senza lavoro: una percentuale in leggera crescita rispetto al 2010. Ma c'è anche altro deve fare riflettere. In una società estremamente giovane come quella tunisina, questa percentuale sale al 30,7% nella fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni.
All'indomani delle elezioni che hanno visto il chiaro successo degli islamici moderati di Ennadha, l'attuale presidente della Repubblica, il leader del partito di sinistra (nazionalista) Cpr, Moncef Marzouki, aveva commentato al microfono di SkyTG24: "Il vero problema di questo Paese non è certo la dicotomia, pur esistente, tra laicità e islamismo, ma la disoccupazione e un'economia che langue". Certo, la mancanza di uno sviluppo democratico sarebbe un ulteriore, serio ostacolo alla crescita anche economica della Tunisia, ma almeno per il momento non sembra esistere questo rischio, in un Paese seriamente impegnato a redigere la nuova Costituzione prima di andare una seconda volta a votare.
A un anno esatto dalla fuga di Ben Ali (ora in Arabia Saudita, raggiunto da una prima condanna in contumacia a 35 anni di prigione), l'emittente britannica BBC ha potuto accertare che il numero di persone che si sono date fuoco è quintuplicato negli ultimi dodici mesi. E' anche su questi aspetti che deve riflettere l'Occidente, e l'Europa in particolare, quando si guarda alla sponda sud del Mediterraneo. E' per questo motivo che gli sbarchi continueranno con ogni probabilità ad essere numerosi sulle nostre coste: la democrazia, da sola, non riempie le pance. In nessuna parte del mondo.
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