ExchangeConnect, Co.Nx, Opinion Space: sono solo alcuni dei nomi di progetti creati negli Usa e nati con l'obiettivo di creare piattaforme per il dialogo transnazionale. Li racconta Augusto Valeriani in "Twitter Factor" (Laterza). Leggine un estratto
di Augusto Valeriani
Il biglietto da visita ufficiale di Lovisa Williams, numero 2 dell’Office for innovative engagement del Dipartimento di Stato (ovvero la stanza dei bottoni della diplomazia pubblica 2.0 di Obama), ha un «lato B» piuttosto singolare: ospita infatti la seconda identità di Lovisa, Isabel Cortez.
Non si tratta di false generalità per operare in incognito chissà dove e neppure di un disturbo di personalità tollerato dalle rigide burocrazie dello State Department: Isabel Cortez è infatti il nome dell’avatar di Lovisa su Second Life (SL).
Ciò che giustifica la presenza di questa identità virtuale sulla sua business card è anch’esso stampato nero su bianco sul retro del biglietto da visita con l’aquila dorata: US virtual ambassador on Second Life.
Anche Isabel dunque, come Lovisa, ha un incarico «governativo»: è ambasciatrice americana nel mondo virtuale che, seppur notevolmente meno frequentato rispetto ai tempi d’oro – il biennio 2006-2007 –, è ancora oggi il più popolato della rete.
L’attività del Dipartimento di Stato in Second Life è iniziata proprio nel 2007, l’anno dell’esplosione della cosiddetta SL diplomacy, che ha visto alcuni paesi aprire addirittura ambasciate virtuali o centri di cultura, come la «Second House of Sweden».
Per molte delle iniziative che hanno visto il coinvolgimento di Washington in SL, il Dipartimento di Stato ha lavorato semplicemente come uno dei partner organizzatori, «sfruttando» idee e lavoro di soggetti indipendenti dal governo.
Uno degli esempi più recenti in tal senso è rappresentato dal Kansas to Cairo Project, un progetto che ha visto la collaborazione, durante il secondo semestre del 2010, di studenti di architettura dell’Università Ein Shams del Cairo con i loro colleghi della University of Southern California.
Il progetto deve il suo nome all’ispirazione che Obama avrebbe dato ai suoi ideatori durante il famoso discorso del Cairo, quando annunciò il suo impegno affinché «giovani del Kansas e giovani egiziani» potessero, attraverso piattaforme virtuali, dialogare, confrontarsi ed apprendere insieme in tempo reale.
A partire da questa suggestione tre architetti e docenti universitari egiziani e americani hanno coinvolto i loro studenti in un corso, realizzato interamente attraverso Second Life, che ha visto i ragazzi progettare e realizzare assieme – virtualmente, si intende – edifici di diverso stile e destinazione. Il progetto coglie appieno quello che SL è oggi: non più un ambiente dove semplici curiosi girovagano senza un obiettivo specifico o al massimo con quello di una semplice chiacchierata con uno sconosciuto, ma un ambiente utilizzato da una comunità molto più ristretta per «fare» cose assieme: progetti, eventi, concerti, conferenze.
Il lavoro del Dipartimento di Stato non è stato quello di concepire e organizzare la cosa, ma di riconoscere le potenzialità dell’iniziativa, offrire un limitato finanziamento e favorirne la risonanza a livello mediatico. Anche la partecipata conferenza di presentazione del progetto – organizzata in Second Life ovviamente – pur avendo avuto come co-organizzatore lo State Department, è stata realizzata su un’isola (virtuale) di proprietà dell’University of Southern California e ha visto la partecipazione di architetti esperti di mondi virtuali provenienti da diversi paesi del mondo, ma non di funzionari governativi.
I docenti e gli studenti americani coinvolti nello scambio possono essere visti come dei citizen diplomats in senso classico: dei semplici cittadini che, attraverso la creazione di relazioni positive con altri soggetti all’estero, contribuiscono a sostenere l’immagine internazionale del proprio paese.
Oppure, adottando una prospettiva più innovativa, si può spostare l’attenzione sulla situazione comunicativa e sostenere che tutti gli attori coinvolti (a prescindere dalla loro nazionalità) siano stati propulsori di vantaggi, in termini di diplomazia pubblica, per gli Stati Uniti.
Un ambiente eterogeneo in cui soggetti differenti sviluppano nuove percezioni della realtà internazionale o semplicemente del proprio posto nel mondo, agevolati o sostenuti dagli USA, può infatti rappresentare un moltiplicatore di credibilità molto maggiore di qualsiasi campagna di marketing o iniziativa gestita direttamente dal Dipartimento di Stato.
Se si accetta una visione di questo tipo, un approccio «olistico» al ruolo dei non-professionisti nella diplomazia pubblica 2.0, si può comprendere in maniera più approfondita la richiesta avanzata a Twitter dal Dipartimento di Stato affinché rinunciasse alla temporanea chiusura del servizio per motivi tecnici nelle fasi calde del dopo voto iraniano del 2009. Il nocciolo della questione non era tanto se Twitter fosse o meno il vero «motore della rivoluzione» per le strade di Teheran, quanto piuttosto il fatto che i social media in quei giorni rappresentavano un ambiente nel quale una comunità transnazionale (che comprendeva anche cittadini iraniani) stava sviluppando uno spazio di comunicazione e discussione attorno a quello che stava succedendo nel paese, costituendo un ulteriore elemento di pressione, diplomatica in senso lato, per il regime di Ahmadinejad.
Il progetto «internet in valigia», annunciato da Hillary Clinton nel giugno 2011, può essere visto come un passo successivo in questa direzione rispetto alla famosa telefonata a Twitter di Jared Cohen.
L’obiettivo è creare un dispositivo capace di mettere rapidamente e facilmente in piedi reti web alternative, in grado di far sopravvivere questi flussi transnazionali di comunicazione a tentativi, da parte di regimi autoritari, di mettere off line i propri paesi. Si tratta peraltro di un’idea già realizzata, in maniera rudimentale, dagli attivisti egiziani durante i giorni della «rivoluzione».
I guru tecnologici di Hillary Clinton, capitanati da Alec Ross, per il quale è stata addirittura creata la posizione di Advisor for innovation to Secretary of State, stanno portando avanti la loro battaglia affinché passi l’idea che le potenzialità insite nello sviluppo di nuovi ambienti comunicativi siano maggiori di quelle che lo sforzo per la definizione di un messaggio predefinito dall’alto possono garantire. Sono nati così progetti come ExchangeConnect, Co.Nx e OpinionSpace, molto diversi tra loro ma accomunati dalla volontà di creare piattaforme per il dialogo e la comunicazione transnazionale attorno a tematiche culturali e politiche in senso ampio.
ExchangeConnect, il cui slogan è «connetti, comunica, collabora», è un vero e proprio social network progettato dal Dipartimento di Stato e incentrato sugli scambi culturali, ma che di fatto, attraverso possibilità di condividere fotografie, post e video e creare gruppi attorno ai progetti di cooperazione culturale promossi dal governo USA, ha come obiettivo fondamentale lo sviluppo di una comunità virtuale composta prevalentemente da teenager.
Co.Nx utilizza Facebook come bacino di sviluppo e interazione per una comunità transnazionale di soggetti (più di 100 mila) interessati a questioni di «politica globale»: clima, economia, giovani e leadership, relazioni internazionali. Appoggiandosi al social network più frequentato al mondo, il progetto lavora secondo quello che è ormai diventato un mantra per qualsiasi soggetto interessato ad interagire con le comunità del web 2.0: «Engage people where people already are», ovvero cercare di lavorare a partire dalle piattaforme che già esistono e che le persone già «frequentano» abitualmente.
Facebook è dunque la vetrina per le iniziative di Co.Nx, lo strumento per fare circolare le informazioni rispetto agli appuntamenti e per ampliare la comunità, il luogo dove la discussione attorno alle tematiche sollevate durante le web-chat può continuare.
Il cuore del progetto è infatti rappresentato da web-chat periodiche che coinvolgono personalità del mondo della politica, dell’economia, dell’educazione e delle ONG. Si tratta di soggetti non necessariamente americani e non necessariamente residenti negli Stati Uniti: lo spettro degli speaker ha incluso ad esempio il sottosegretario alla PD Judith McHale, un imam durante il mese del Ramadan, e un giovane studente indiano impegnato nella trasformazione del suo campus nella prima università ad energia verde di tutta l’India.
Per lanciare il progetto Mobile Women: Closing the Digital Gender Divide through Mobile Technology, dedicato all’alfabetizzazione tecnologica femminile, Hillary Clinton, accompagnata dall’altra madrina dell’iniziativa, Cherie Blair, ha condotto una partecipatissima video-chat proprio su Co.Nx.
OpinionSpace è invece un progetto che ha visto una partnership tra il Dipartimento di Stato e il Center for New Media dell’Università di Berkeley, con la singolare partecipazione di Craigslist, il portale di annunci di compravendite di ogni tipo, molto popolare e usato negli Stati Uniti.
La piattaforma, fortemente voluta da Alec Ross, è interamente dedicata alla politica estera americana e ha anch’essa lo scopo di creare uno spazio di discussione in grado di coinvolgere tanto i cittadini americani quanto le opinioni pubbliche internazionali. L’elemento caratteristico di OpinionSpace è infatti proprio quello di «avvicinare» automaticamente comunità di persone con opinioni simili. Il «gioco» funziona attraverso uno strumento di analisi statistica analogo a quello che permette ad Amazon di consigliarci libri sulla base delle nostre scelte e di quelle di coloro che hanno «gusti» analoghi ai nostri: un cittadino dell’Arizona e uno del Camerun dunque potrebbero scoprire di avere «proposte» simili in merito all’atteggiamento di Washington nei confronti del nucleare iraniano e da lì iniziare una conversazione on line.
Le opinioni delle persone vengono rappresentate, attraverso un sistema di visualizzazione dei dati, come stelle in una galassia, di modo che sia immediatamente possibile per ognuno vedere la propria collocazione rispetto a particolari «costellazioni» di opinione.
© 2011, Gius. Laterza & Figli
Tratto da Augusto Valeriani, Twitter Factor, Laterza pp. 188, euro 12
Augusto Valeriani (@barbapreta su Twitter) insegna Mass media, conflitti e politica internazionale presso la Facoltà di Scienze politiche "Roberto Ruffilli" di Forlì, Università di Bologna. È Associate Fellow dell'Arab Media Centre della University of Westminster e del Center for Global Communication Studies dell'Annenberg School for Communication-University of Pennsylvania. Tra le sue pubblicazioni: Il giornalismo arabo (Carocci 2005); Un Hussein alla Casa Bianca. Cosa pensa il mondo arabo di Barack Obama (a cura di, con D. Della Ratta, Odoya 2009); Effetto Al Jazeera (LLR 2010).
Il biglietto da visita ufficiale di Lovisa Williams, numero 2 dell’Office for innovative engagement del Dipartimento di Stato (ovvero la stanza dei bottoni della diplomazia pubblica 2.0 di Obama), ha un «lato B» piuttosto singolare: ospita infatti la seconda identità di Lovisa, Isabel Cortez.
Non si tratta di false generalità per operare in incognito chissà dove e neppure di un disturbo di personalità tollerato dalle rigide burocrazie dello State Department: Isabel Cortez è infatti il nome dell’avatar di Lovisa su Second Life (SL).
Ciò che giustifica la presenza di questa identità virtuale sulla sua business card è anch’esso stampato nero su bianco sul retro del biglietto da visita con l’aquila dorata: US virtual ambassador on Second Life.
Anche Isabel dunque, come Lovisa, ha un incarico «governativo»: è ambasciatrice americana nel mondo virtuale che, seppur notevolmente meno frequentato rispetto ai tempi d’oro – il biennio 2006-2007 –, è ancora oggi il più popolato della rete.
L’attività del Dipartimento di Stato in Second Life è iniziata proprio nel 2007, l’anno dell’esplosione della cosiddetta SL diplomacy, che ha visto alcuni paesi aprire addirittura ambasciate virtuali o centri di cultura, come la «Second House of Sweden».
Per molte delle iniziative che hanno visto il coinvolgimento di Washington in SL, il Dipartimento di Stato ha lavorato semplicemente come uno dei partner organizzatori, «sfruttando» idee e lavoro di soggetti indipendenti dal governo.
Uno degli esempi più recenti in tal senso è rappresentato dal Kansas to Cairo Project, un progetto che ha visto la collaborazione, durante il secondo semestre del 2010, di studenti di architettura dell’Università Ein Shams del Cairo con i loro colleghi della University of Southern California.
Il progetto deve il suo nome all’ispirazione che Obama avrebbe dato ai suoi ideatori durante il famoso discorso del Cairo, quando annunciò il suo impegno affinché «giovani del Kansas e giovani egiziani» potessero, attraverso piattaforme virtuali, dialogare, confrontarsi ed apprendere insieme in tempo reale.
A partire da questa suggestione tre architetti e docenti universitari egiziani e americani hanno coinvolto i loro studenti in un corso, realizzato interamente attraverso Second Life, che ha visto i ragazzi progettare e realizzare assieme – virtualmente, si intende – edifici di diverso stile e destinazione. Il progetto coglie appieno quello che SL è oggi: non più un ambiente dove semplici curiosi girovagano senza un obiettivo specifico o al massimo con quello di una semplice chiacchierata con uno sconosciuto, ma un ambiente utilizzato da una comunità molto più ristretta per «fare» cose assieme: progetti, eventi, concerti, conferenze.
Il lavoro del Dipartimento di Stato non è stato quello di concepire e organizzare la cosa, ma di riconoscere le potenzialità dell’iniziativa, offrire un limitato finanziamento e favorirne la risonanza a livello mediatico. Anche la partecipata conferenza di presentazione del progetto – organizzata in Second Life ovviamente – pur avendo avuto come co-organizzatore lo State Department, è stata realizzata su un’isola (virtuale) di proprietà dell’University of Southern California e ha visto la partecipazione di architetti esperti di mondi virtuali provenienti da diversi paesi del mondo, ma non di funzionari governativi.
I docenti e gli studenti americani coinvolti nello scambio possono essere visti come dei citizen diplomats in senso classico: dei semplici cittadini che, attraverso la creazione di relazioni positive con altri soggetti all’estero, contribuiscono a sostenere l’immagine internazionale del proprio paese.
Oppure, adottando una prospettiva più innovativa, si può spostare l’attenzione sulla situazione comunicativa e sostenere che tutti gli attori coinvolti (a prescindere dalla loro nazionalità) siano stati propulsori di vantaggi, in termini di diplomazia pubblica, per gli Stati Uniti.
Un ambiente eterogeneo in cui soggetti differenti sviluppano nuove percezioni della realtà internazionale o semplicemente del proprio posto nel mondo, agevolati o sostenuti dagli USA, può infatti rappresentare un moltiplicatore di credibilità molto maggiore di qualsiasi campagna di marketing o iniziativa gestita direttamente dal Dipartimento di Stato.
Se si accetta una visione di questo tipo, un approccio «olistico» al ruolo dei non-professionisti nella diplomazia pubblica 2.0, si può comprendere in maniera più approfondita la richiesta avanzata a Twitter dal Dipartimento di Stato affinché rinunciasse alla temporanea chiusura del servizio per motivi tecnici nelle fasi calde del dopo voto iraniano del 2009. Il nocciolo della questione non era tanto se Twitter fosse o meno il vero «motore della rivoluzione» per le strade di Teheran, quanto piuttosto il fatto che i social media in quei giorni rappresentavano un ambiente nel quale una comunità transnazionale (che comprendeva anche cittadini iraniani) stava sviluppando uno spazio di comunicazione e discussione attorno a quello che stava succedendo nel paese, costituendo un ulteriore elemento di pressione, diplomatica in senso lato, per il regime di Ahmadinejad.
Il progetto «internet in valigia», annunciato da Hillary Clinton nel giugno 2011, può essere visto come un passo successivo in questa direzione rispetto alla famosa telefonata a Twitter di Jared Cohen.
L’obiettivo è creare un dispositivo capace di mettere rapidamente e facilmente in piedi reti web alternative, in grado di far sopravvivere questi flussi transnazionali di comunicazione a tentativi, da parte di regimi autoritari, di mettere off line i propri paesi. Si tratta peraltro di un’idea già realizzata, in maniera rudimentale, dagli attivisti egiziani durante i giorni della «rivoluzione».
I guru tecnologici di Hillary Clinton, capitanati da Alec Ross, per il quale è stata addirittura creata la posizione di Advisor for innovation to Secretary of State, stanno portando avanti la loro battaglia affinché passi l’idea che le potenzialità insite nello sviluppo di nuovi ambienti comunicativi siano maggiori di quelle che lo sforzo per la definizione di un messaggio predefinito dall’alto possono garantire. Sono nati così progetti come ExchangeConnect, Co.Nx e OpinionSpace, molto diversi tra loro ma accomunati dalla volontà di creare piattaforme per il dialogo e la comunicazione transnazionale attorno a tematiche culturali e politiche in senso ampio.
ExchangeConnect, il cui slogan è «connetti, comunica, collabora», è un vero e proprio social network progettato dal Dipartimento di Stato e incentrato sugli scambi culturali, ma che di fatto, attraverso possibilità di condividere fotografie, post e video e creare gruppi attorno ai progetti di cooperazione culturale promossi dal governo USA, ha come obiettivo fondamentale lo sviluppo di una comunità virtuale composta prevalentemente da teenager.
Co.Nx utilizza Facebook come bacino di sviluppo e interazione per una comunità transnazionale di soggetti (più di 100 mila) interessati a questioni di «politica globale»: clima, economia, giovani e leadership, relazioni internazionali. Appoggiandosi al social network più frequentato al mondo, il progetto lavora secondo quello che è ormai diventato un mantra per qualsiasi soggetto interessato ad interagire con le comunità del web 2.0: «Engage people where people already are», ovvero cercare di lavorare a partire dalle piattaforme che già esistono e che le persone già «frequentano» abitualmente.
Facebook è dunque la vetrina per le iniziative di Co.Nx, lo strumento per fare circolare le informazioni rispetto agli appuntamenti e per ampliare la comunità, il luogo dove la discussione attorno alle tematiche sollevate durante le web-chat può continuare.
Il cuore del progetto è infatti rappresentato da web-chat periodiche che coinvolgono personalità del mondo della politica, dell’economia, dell’educazione e delle ONG. Si tratta di soggetti non necessariamente americani e non necessariamente residenti negli Stati Uniti: lo spettro degli speaker ha incluso ad esempio il sottosegretario alla PD Judith McHale, un imam durante il mese del Ramadan, e un giovane studente indiano impegnato nella trasformazione del suo campus nella prima università ad energia verde di tutta l’India.
Per lanciare il progetto Mobile Women: Closing the Digital Gender Divide through Mobile Technology, dedicato all’alfabetizzazione tecnologica femminile, Hillary Clinton, accompagnata dall’altra madrina dell’iniziativa, Cherie Blair, ha condotto una partecipatissima video-chat proprio su Co.Nx.
OpinionSpace è invece un progetto che ha visto una partnership tra il Dipartimento di Stato e il Center for New Media dell’Università di Berkeley, con la singolare partecipazione di Craigslist, il portale di annunci di compravendite di ogni tipo, molto popolare e usato negli Stati Uniti.
La piattaforma, fortemente voluta da Alec Ross, è interamente dedicata alla politica estera americana e ha anch’essa lo scopo di creare uno spazio di discussione in grado di coinvolgere tanto i cittadini americani quanto le opinioni pubbliche internazionali. L’elemento caratteristico di OpinionSpace è infatti proprio quello di «avvicinare» automaticamente comunità di persone con opinioni simili. Il «gioco» funziona attraverso uno strumento di analisi statistica analogo a quello che permette ad Amazon di consigliarci libri sulla base delle nostre scelte e di quelle di coloro che hanno «gusti» analoghi ai nostri: un cittadino dell’Arizona e uno del Camerun dunque potrebbero scoprire di avere «proposte» simili in merito all’atteggiamento di Washington nei confronti del nucleare iraniano e da lì iniziare una conversazione on line.
Le opinioni delle persone vengono rappresentate, attraverso un sistema di visualizzazione dei dati, come stelle in una galassia, di modo che sia immediatamente possibile per ognuno vedere la propria collocazione rispetto a particolari «costellazioni» di opinione.
© 2011, Gius. Laterza & Figli
Tratto da Augusto Valeriani, Twitter Factor, Laterza pp. 188, euro 12
Augusto Valeriani (@barbapreta su Twitter) insegna Mass media, conflitti e politica internazionale presso la Facoltà di Scienze politiche "Roberto Ruffilli" di Forlì, Università di Bologna. È Associate Fellow dell'Arab Media Centre della University of Westminster e del Center for Global Communication Studies dell'Annenberg School for Communication-University of Pennsylvania. Tra le sue pubblicazioni: Il giornalismo arabo (Carocci 2005); Un Hussein alla Casa Bianca. Cosa pensa il mondo arabo di Barack Obama (a cura di, con D. Della Ratta, Odoya 2009); Effetto Al Jazeera (LLR 2010).