Tunisia, io sindaco del post rivoluzione: la storia

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Una foto di archivio delle proteste in Tunisia culminate con la fine del regime di Ben Alì. Credit: Getty Images
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Un giovane ricercatore, appena nominato primo cittadino di una città di Djerba, racconta a Sky.it: "La strada verso la democrazia è lunga, non basta cancellare i simboli del potere". E sulle elezioni del 23 ottobre: "C’è il rischio dell’astensione"

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di Chiara Ribichini

“Voglio restaurare la fiducia dei cittadini nello Stato. E’ il mio primo impegno. Perché la paura che saranno in pochi ad andare a votare il prossimo 23 ottobre per eleggere i rappresentanti dell'Assemblea Costituente è davvero alta. E non possiamo permetterci di buttare al vento la prima nostra grande occasione nel cammino verso la democrazia”. Sami Ben Tahar ha 37 anni ed è stato appena eletto sindaco di Jerba Houmt Souk, una città dell’isola di Djerba (LA MAPPA). E’ un ricercatore dell’Institut National du Patrimoine che Sky.it aveva intervistato già qualche mese fa, subito dopo la fine del regime di Ben Alì (in quell’occasione, però, era stato usato un nome di fantasia vista la delicatezza del momento storico e politico). Sami non aveva mai avuto un ruolo politico. E’ stato scelto proprio per questo. “Ero stato inserito dal consiglio della rivoluzione nell’elenco dei possibili consiglieri, non come capolista. Le associazioni politiche e culturali della mia città hanno però fatto il mio nome come sindaco senza avvertirmi. Volevano una persona conosciuta ma politicamente nuova. Una figura che non avesse mai avuto alcun legame con gli uomini di Ben Alì. Ci ho pensato su e ho accettato perché la situazione è caotica e non c’è tempo da perdere”.

La Tunisia post rivoluzione, guidata dal governo di transizione di Beji Caied Essebbsi, è un Paese sempre più impaziente. “Molti erano convinti che con la caduta del regime si sarebbero subito risolti i nostri problemi, la disoccupazione in primis. Ma non è così. Ci vuole tempo. La strada verso la democrazia è lunga e non basta solo  cancellare i simboli del regime” racconta Sami. Impazienza a cui si aggiunge l'attesa per le prime votazioni libere per la scelta dell’Assemblea Costituente. “Ho paura che la maggior parte dei tunisini non andrà alle urne. Solo il 50% si è iscritto alle liste elettorali. La popolazione non ha l’abitudine di votare, non ne conosce il significato e l’importanza. Ma tutto è possibile”.

Nel descrivere il suo Paese, Sami parla più volte della mancanza di un senso civico. Della necessità di trasmettere valori come la democrazia, la libertà o il concetto di città come bene comune e non proprietà del potere. “Chi non ha avuto la possibilità di studiare (nel 2009 la percentuale di diplomati alla scuola secondaria o terziaria si attestava intorno al 45%, fonte Mena Regional Strategy, che è comunque una delle percentuali più elevate di tutto il Nord Africa, ndr) ha solo due priorità nella vita: bere e mangiare. Ed è molto spaventato dal futuro. Non ha fiducia e fa fatica a capire che ci vuole tempo per ricostruire uno Stato, per migliorare la difficilissima situazione economica in cui viviamo. Per tutti noi ora la priorità deve essere avere un governo democratico. Avere una stabilità politica capace di organizzare il Paese. Andare a votare è il primo grande passo”. Impazienti e sfiduciati, molti tunisini prendono la via del mare: “Ho visto persone con un lavoro fisso lasciare tutto e salire su una carretta diretta verso l’Europa. L’Italia è vista come un Paradiso, ma chi ha la possibilità di informarsi sa che non è così”.

Il problema principale a Djerba, come nel resto della Tunisia, resta la disoccupazione. “Il turismo, nostra risorsa principale, è drasticamente crollato nell’ultimo anno. Solo con una stabilità politica gli hotel potranno tornare ad essere pieni”. In quest’ottica anche la guerra in Libia viene vista come un’opportunità. “Ci sarà molto da ricostruire, ci saranno sicuramente occasioni di lavoro per i tunisini. Quello che ci auguriamo è che la Libia diventi presto democratica come noi perché avere un vicino autocratico può essere molto pericoloso. Il nostro sogno è quello di creare una zona araba con frontiere libere, come l’Europa”.

Oltre al lavoro, i problemi che Sami Ben Tahar si troverà ad affrontare come sindaco sono l’abusivismo, l’emergenza rifiuti, l’evasione. “Cercherò di parlare il più possibile con i miei cittadini, di stare con loro per fargli capire che la città ora è la loro, non è più del potere. Per questo, se vogliono che funzioni, devono imparare a rispettarla e a gestirla. Il che vuol dire partecipare alla pulizia, lavorare e pagare le tasse. In una parola: essere cittadini”.
C’è una cosa però che i tunisini hanno imparato in questi mesi post rivoluzione: vivere senza polizia. “Le forze dell’ordine erano lo strumento del regime. Gli agenti si sentivano tutti piccoli presidenti. Oggi sono stati privati del loro potere, così il 90% di loro non lavora più. Passa la giornata rinchiuso in ufficio con le braccia conserte. Nonostante questo però non ci sono frequenti episodi di violenza. La sicurezza non è un problema e credo che questa sia una bella risposta del popolo tunisino”.

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