Il leader della Repubblica islamica ha attaccato gli americani: arroganti "con chiunque metta in discussione l'Olocausto e i 'misteriosi' eventi dell'11 settembre". E se l'è presa anche con l'Italia: "Sotto occupazione militare di Washington"
L'ennesimo show anti-americano e anti-israeliano recitato dal palco delle Nazioni Unite, che si è chiuso, come capita ormai ogni anno, con l'abbandono dei delegati occidentali dell'aula: un copione già visto quello che il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad ha riproposto al Palazzo di Vetro, attaccando Stati Uniti e le altre potenze "arroganti" (Italia compresa) che minacciano e sanzionano chi "osa" mettere in dubbio l'Olocausto.
Sembrava aver teso la mano a Barack Obama, Ahmadinejad. Ma era solo un'illusione. Sfumata non appena il controverso leader iraniano ha preso la parola, attribuendo agli Stati Uniti, tra l'altro, la responsabilità della schiavitù degli africani, della recessione globale e indirettamente anche delle sofferenza del popolo palestinese.
I delegati di Washington, di Roma e delle altre capitali europee, di fronte alla sfilza di domande retoriche che puntavano contro gli Stati Uniti e come al solito contro l'Olocausto, hanno deciso di lasciare l'aula. Mentre fuori dal Palazzo di Vetro, gli oppositori del regime iraniano chiedevano a gran voce l'espulsione di Teheran dalle Nazioni Unite.
Diplomatici e giornalisti americani pensavano che Ahmadinejad - spinto magari dalle sollevazioni della Primavera araba - fosse pronto a cambiare i toni. Radio e quotidiani avevano parlato di "charm offensive": una campagna iniziata con la liberazione degli escursionisti americani imprigionati in Iran e continuata con un'intervista al New York Times che proponeva un compromesso sul programma nucleare di Teheran.
Ben altri toni, invece, sono stati usati dal podio dell'Assemblea: il leader della Repubblica islamica ha detto che gli americani "si considerano superiori agli altri" e usano la loro "rete imperialista per minacciare con sanzioni e azioni militari chiunque metta in discussione l'Olocausto e i 'misteriosi' eventi dell'11 settembre".
Ahmadinejad se l'è presa anche con l'Italia, insinuando che Roma sia sotto "occupazione militare" di Washington: "Qual è la giustificazione delle centinaia di basi americane militari e d'intelligence in diverse parti del mondo, (tra cui) le 83 presenti in Italia?".
Sembrava aver teso la mano a Barack Obama, Ahmadinejad. Ma era solo un'illusione. Sfumata non appena il controverso leader iraniano ha preso la parola, attribuendo agli Stati Uniti, tra l'altro, la responsabilità della schiavitù degli africani, della recessione globale e indirettamente anche delle sofferenza del popolo palestinese.
I delegati di Washington, di Roma e delle altre capitali europee, di fronte alla sfilza di domande retoriche che puntavano contro gli Stati Uniti e come al solito contro l'Olocausto, hanno deciso di lasciare l'aula. Mentre fuori dal Palazzo di Vetro, gli oppositori del regime iraniano chiedevano a gran voce l'espulsione di Teheran dalle Nazioni Unite.
Diplomatici e giornalisti americani pensavano che Ahmadinejad - spinto magari dalle sollevazioni della Primavera araba - fosse pronto a cambiare i toni. Radio e quotidiani avevano parlato di "charm offensive": una campagna iniziata con la liberazione degli escursionisti americani imprigionati in Iran e continuata con un'intervista al New York Times che proponeva un compromesso sul programma nucleare di Teheran.
Ben altri toni, invece, sono stati usati dal podio dell'Assemblea: il leader della Repubblica islamica ha detto che gli americani "si considerano superiori agli altri" e usano la loro "rete imperialista per minacciare con sanzioni e azioni militari chiunque metta in discussione l'Olocausto e i 'misteriosi' eventi dell'11 settembre".
Ahmadinejad se l'è presa anche con l'Italia, insinuando che Roma sia sotto "occupazione militare" di Washington: "Qual è la giustificazione delle centinaia di basi americane militari e d'intelligence in diverse parti del mondo, (tra cui) le 83 presenti in Italia?".