Secondo il critico cinematografico e filosofo, il crollo delle Twin Towers ha segnato "l'apoteosi" dell'uso politico del terrore. Ma 10 anni dopo, "la crisi ha fatto riscoprire valori nuovi e la primavera araba rappresenta una grande occasione". SPECIALE
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11 settembre 2001-2011: lo speciale di Sky.it
11 settembre: la paura e il sospetto sul grande schermo
di Giulia Floris
Le torri gemelle crollano, ma sullo schermo non scorrono le immagini delle twin towers in fumo che hanno fatto il giro del mondo, bensì quelle dei volti dei newyorchesi che vedono la scena. La sequenza del film ‘Farenheit 9/11’ di Michael Moore è un controcampo cinematografico, ma anche politico, secondo Roberto Escobar, esperto di cinema e docente di Filosofia Politica e Analisi del linguaggio politico all’Università statale di Milano. Ciò che racconta infatti l’inquadratura di Moore, “lo smarrimento e la paura”, sono per Escobar i sentimenti che a partire dall’11 settembre 2001 sono stati il “motore della politica dell’Occidente”.
Una scena emblematica secondo lo studioso (autore di saggi sul tema come "La libertà negli occhi", "Paura e libertà", "La paura del laico") per interpretare quello che è accaduto dall'attentato di Ground Zero in poi: un evento che ha lasciato dietro di sé migliaia di morti, ma che ha anche cambiato per sempre le nostre vite e gli equilibri politici internazionali.
Guarda la sequenza
"La paura - dice Escobar interpellato da Sky.it - è sempre un elemento determinante della politica, ma l’11 settembre è stata l’apoteosi dell’uso politico della paura: da un lato come strumento dei terroristi contro l’Occidente, dall’altro come fondamento delle politiche occidentali. Sulla paura l’Occidente ha strutturato la sua politica aldilà delle necessità reali, la paura ha mosso milioni di voti".
Come si è realizzata concretamente la politica della paura?
Si è messa in moto una vera macchina mediatica del terrore. Basta pensare alla scelta di rimandare continuamente in onda le immagini del crollo delle torri. Se ci si pensa è una strategia contraddittoria: una politica realistica avrebbe dovuto, non dico certo nasconderle, ma quanto meno limitarle. Invece paradossalmente la politica dei terroristi per mostrare la loro forza e quella del potere occidentale hanno usato gli stessi mezzi.
Come è cambiata la nostra vita quotidiana?
La nostra quotidianità è cambiata capillarmente, solo un esempio sono i controlli negli aeroporti: insufficienti e anche poco utili sono diventati una necessità. E’ nato in noi il bisogno di essere controllati. Dalla politica della paura è nata anche l’accettazione delle limitazioni dei diritti civili: all’indomani degli attentati si è arrivati a pensare che forme di tortura non eccessive fossero accettabili. C’è stato un imbarbarimento dato dai terremoti politici.
Si tratta di una via senza ritorno o nel corso di questi 10 anni siamo diventati più consapevoli?
Per fortuna siamo diventati più consapevoli, la mentalità sta cambiando. Da un lato la crisi economica ha fatto riscoprire valori come la solidarietà, dall’altro la politica della paura si smaschera da sola perché non si arresta mai e dunque è inevitabile che alla fine fallisca. Se basi il tuo potere sulla paura e dopo 10 anni non sei riuscito a sconfiggere quelle stesse paure è evidente che ti smascheri.
In questo senso che significato può avere l’uccisione di Bin Laden?
Sicuramente un forte significato simbolico, quello che spero è che possa segnare la fine di un’epoca.
All’indomani dell’11 settembre prese sempre più piede la teoria dello “scontro di civiltà”, a dieci anni di distanza cosa ne resta?
Il cosiddetto "scontro di civiltà" ha lasciato dietro di sé solo i disastri che ha provocato. In cosa siamo diversi dagli arabi? In realtà siamo vicinissimi. Ora tutti si sono stupiti dello scoprire quali fermenti attraversano il mondo arabo, mentre non c’era nulla di cui stupirsi.
La primavera araba può significare dunque anche l’inizio di un nuovo sguardo dell’Occidente verso il mondo islamico?
Spero di sì, se sapremo sostenere questi movimenti potremmo forse smettere di vedere nel mondo arabo il nemico.
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Le torri gemelle crollano, ma sullo schermo non scorrono le immagini delle twin towers in fumo che hanno fatto il giro del mondo, bensì quelle dei volti dei newyorchesi che vedono la scena. La sequenza del film ‘Farenheit 9/11’ di Michael Moore è un controcampo cinematografico, ma anche politico, secondo Roberto Escobar, esperto di cinema e docente di Filosofia Politica e Analisi del linguaggio politico all’Università statale di Milano. Ciò che racconta infatti l’inquadratura di Moore, “lo smarrimento e la paura”, sono per Escobar i sentimenti che a partire dall’11 settembre 2001 sono stati il “motore della politica dell’Occidente”.
Una scena emblematica secondo lo studioso (autore di saggi sul tema come "La libertà negli occhi", "Paura e libertà", "La paura del laico") per interpretare quello che è accaduto dall'attentato di Ground Zero in poi: un evento che ha lasciato dietro di sé migliaia di morti, ma che ha anche cambiato per sempre le nostre vite e gli equilibri politici internazionali.
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"La paura - dice Escobar interpellato da Sky.it - è sempre un elemento determinante della politica, ma l’11 settembre è stata l’apoteosi dell’uso politico della paura: da un lato come strumento dei terroristi contro l’Occidente, dall’altro come fondamento delle politiche occidentali. Sulla paura l’Occidente ha strutturato la sua politica aldilà delle necessità reali, la paura ha mosso milioni di voti".
Come si è realizzata concretamente la politica della paura?
Si è messa in moto una vera macchina mediatica del terrore. Basta pensare alla scelta di rimandare continuamente in onda le immagini del crollo delle torri. Se ci si pensa è una strategia contraddittoria: una politica realistica avrebbe dovuto, non dico certo nasconderle, ma quanto meno limitarle. Invece paradossalmente la politica dei terroristi per mostrare la loro forza e quella del potere occidentale hanno usato gli stessi mezzi.
Come è cambiata la nostra vita quotidiana?
La nostra quotidianità è cambiata capillarmente, solo un esempio sono i controlli negli aeroporti: insufficienti e anche poco utili sono diventati una necessità. E’ nato in noi il bisogno di essere controllati. Dalla politica della paura è nata anche l’accettazione delle limitazioni dei diritti civili: all’indomani degli attentati si è arrivati a pensare che forme di tortura non eccessive fossero accettabili. C’è stato un imbarbarimento dato dai terremoti politici.
Si tratta di una via senza ritorno o nel corso di questi 10 anni siamo diventati più consapevoli?
Per fortuna siamo diventati più consapevoli, la mentalità sta cambiando. Da un lato la crisi economica ha fatto riscoprire valori come la solidarietà, dall’altro la politica della paura si smaschera da sola perché non si arresta mai e dunque è inevitabile che alla fine fallisca. Se basi il tuo potere sulla paura e dopo 10 anni non sei riuscito a sconfiggere quelle stesse paure è evidente che ti smascheri.
In questo senso che significato può avere l’uccisione di Bin Laden?
Sicuramente un forte significato simbolico, quello che spero è che possa segnare la fine di un’epoca.
All’indomani dell’11 settembre prese sempre più piede la teoria dello “scontro di civiltà”, a dieci anni di distanza cosa ne resta?
Il cosiddetto "scontro di civiltà" ha lasciato dietro di sé solo i disastri che ha provocato. In cosa siamo diversi dagli arabi? In realtà siamo vicinissimi. Ora tutti si sono stupiti dello scoprire quali fermenti attraversano il mondo arabo, mentre non c’era nulla di cui stupirsi.
La primavera araba può significare dunque anche l’inizio di un nuovo sguardo dell’Occidente verso il mondo islamico?
Spero di sì, se sapremo sostenere questi movimenti potremmo forse smettere di vedere nel mondo arabo il nemico.