Afghanistan, così i talebani piazzano gli ordigni su strada

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Il caporal maggiore scelto Gaetano Tuccillo di Palma Campania, morto nell’attentato nell’ovest del Paese, viaggiava a bordo di un autocarro. Sky.it vi mostra come gli insorti nascondono nel terreno esplosivi rudimentali. IL REPORTAGE

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Il caporal maggiore scelto Gaetano Tuccillo, di Palma Campania (Napoli), apparteneva al Battaglione logistico "Ariete" di Maniago (Pordenone). Aveva 29 anni (guarda le foto). E’ la 39esima vittima italiana dall’inizio della missione in Afghanistan, nel 2004. Insieme a un parà del 186/o Reggimento Folgore di Siena, ferito nell’attentato ma non in pericolo di vita, viaggiava a bordo di un autocarro sulla strada che porta a Farah, non lontano dal distretto del Gulistan, tra le zone più “calde” del Paese dove ogni passo fuori dalla base è a rischio. La mattina di sabato 2 luglio, il mezzo è saltato su uno Ied, uno dei micidiali ordigni esplosivi improvvisati che mietono vittime in Afghanistan, soprattutto tra i civili.

di Cristina Bassi

L’Afghanistan non ha mai avuto ferrovie, al contrario di tutti gli Stati confinanti, ed è percorso in senso circolare da un’unica strada asfaltata, la Ring road. Molte zone rurali e di montagna sono difficili da raggiungere, soprattutto d’inverno. Ecco perché i cieli afgani sono percorsi 24 ore su 24 da aerei militari da ricognizione. Un Uav (“Unmanned aerial vehicle”, aereo a pilotaggio remoto) Predator dell’Aeronautica militare italiana vola a quasi 5 mila metri di quota. Non è molto grande, è lungo circa otto metri, è leggero e può restare in quota per oltre venti ore. Soprattutto è molto silenzioso. I tre uomini che sono finiti nel suo teleobiettivo non si accorgono di nulla. Stanno piazzando un “Ied”, un ordigno improvvisato, al centro di una strada sterrata. Fanno continuamente avanti e indietro dal luogo dove hanno lasciato il materiale, cominciano a scavare e sistemano la carica. Sul ciglio mettono un grosso oggetto, forse per segnalare il punto esatto. Il vento fa volare i teli che stanno usando e i loro turbanti. Alla fine ricoprono la buca-trappola e se ne vanno. Il tutto dura una ventina di minuti, il Predator non perde un movimento.

Nella Ground control station di Herat l’ “equipaggio” del drone segue la scena in tempo reale. Sono quattro piloti del Task group “Astore” seduti davanti ad altrettanti monitor. Uno di loro pilota in senso stretto l’aereo, uno comanda telecamere e sensori, il terzo aggiorna in diretta chi ha ordinato la missione, l’ultimo fa da supervisore tecnico. Anche i caccia Am-x del gruppo dei “Black cats” sorvolano montagne e valli afgane per riportare alla base migliaia di immagini in alta risoluzione, anche notturne, a infrarosso e in 3d. Oppure scortano le truppe di terra durante pattugliamenti e rastrellamenti nelle zone più a rischio. L’Am-x ha in dotazione un cannone rotante, in più la sua (rumorosa) presenza sopra le teste dei soldati serve a scoraggiare gli attacchi nemici. Il “Pod” sotto il muso del caccia immortala gli eventuali pericoli e le vie di fuga, inviando immediatamente le foto su un laptop in mano alla truppa. Ma Predator e caccia non sorvegliano solo gli insorti e le loro imboscate. “Ultimamente – spiega il colonnello Gianluca Ercolani, comandante della Jatf (Joint air task force) di Herat – a fianco di quelle di intelligence si sono intensificate le attività che documentano i progressi della ricostruzione e il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione”. Le immagini raccolte in tempi diversi mostrano i cambiamenti. L’avanzamento nella costruzione di un ponte, un villaggio prima disabitato e ora animato, l’affluenza a un mercato o a una moschea sono indicatori importanti non solo dal punto di vista militare. In caso di emergenza invece, ad esempio un’alluvione, la ricognizione aerea è utile per aggiornare velocemente le informazioni sui danni a case e strade e sulle vie rimaste aperte ai soccorsi.

Dai cieli a chi la polvere afgana la calpesta ogni giorno. In questo momento nel paese asiatico ci sono oltre 4.100 militari italiani (il 3% sono donne), è il numero più alto mai raggiunto dall’inizio della missione Isaf. All’Italia è affidata la responsabilità del Regional command west di Herat, il comando della regione Ovest dove in tutto operano 8.200 soldati di dieci nazioni. Dai primi di aprile è la Brigata paracadutisti “Folgore” a condurre le operazioni. “In questi ultimi mesi abbiamo fatto ulteriori passi avanti – sottolinea il generale di brigata Carmine Masiello, 47 anni, comandante di Rc West –, nel Nord dell’area di nostra competenza le operazioni di messa in sicurezza hanno avuto successo e abbiamo un buon ritorno da parte della popolazione. Il distretto di Herat è ormai pronto per il passaggio di consegne e le forze afgane camminano con le proprie gambe, nella provincia siamo oltre la fase di puro mantenimento della scurezza, sviluppo e governabilità sono a un buon livello. Si comincia a parlare di imprenditoria privata, di riapertura dell’aeroporto civile, di ampliamento dell’università. In altre zone come quelle di Bala Murghab e del Gulistan la situazione è più complessa, ma ancora una volta molto dipende dai progressi che stanno facendo polizia ed esercito nazionali”. I nostri soldati sono in missione di pace o partecipano a una guerra? “Questa è una missione population centring, rivolta alla popolazione, che proteggiamo da chi vuole colpirla. Se servono le armi per farlo, le usiamo. E un militare che viene in Afghanistan – conclude l’alto ufficiale – è preparato e motivato, sa che i rischi sono stati ridotti ma non sono esclusi”.

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