Il presidente del paese mediorientale in un atteso discorso alla televisione attacca i rivoltosi ("sono frutto di un complotto"), ma apre all'ipotesi di riformare la legge elettorale. E promette un'amnistia. Ma le proteste continuano. VIDEO
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Siria, un tredicenne diventa il simbolo della rivolta
(in fondo all'articolo tutti i video sulla crisi in Siria e in Giordania)
Dopo due mesi di silenzio pubblico (l'ultimo intervento era datato 30 marzo) in forte contrasto col frastuono delle armi usate dal regime di Damasco secondo gli attivisti per reprimere il dissenso o, secondo la versione ufficiale, per combattere non meglio precisati "terroristi", il presidente siriano Bashar al-Assad è tornato a rivolgersi alla nazione riproponendo le stesse promesse di riforme politiche dei due precedenti interventi senza fornire nessun calendario preciso per la loro realizzazione e senza menzionare gli oltre 1.300 siriani uccisi in tre mesi di proteste.
Al termine di oltre un'ora di discorso presidenziale trasmesso in diretta tv dall'aula magna dell'Università di Damasco, centinaia di siriani sono tornati in piazza per manifestare contro il regime in alcuni sobborghi di Damasco, nella campus universitario di Aleppo, a Homs e in due località della regione nord-occidentale di Idlib, al confine con la Turchia e teatro dall'inizio di giugno della massiccia operazione militare.
Il processo di riforme politiche ed economiche in Siria proseguirà, ha assicurato il rais, ma non nel caos e in un clima di sabotaggio contro la nazione. La Siria è vittima di un "complotto", ha detto il presidente che ha accusato "una esigua minoranza della società siriana", descritti come "microbi", "takfiri" (estremisti sunniti), di sfruttare le mobilitazioni popolari frutto di "richieste legittime del popolo". Secondo attivisti per i diritti umani, oltre 1.300 siriani, per lo più civili, sono stati uccisi in tre mesi di repressione.
Il rais siriano ha ignorato questa versione, preferendo rivolgere un ringraziamento ai "soldati che rischiano la vita per la sicurezza della nazione", alle "famiglie dei martiri" e ai "martiri" stessi, senza però specificare di quali vittime si tratti. Una delle principali richieste dei manifestanti e' l'abolizione della supremazia del Baath, partito al potere dal 1963, prevista dalla costituzione.
"Possiamo prevedere di emendare qualche articolo della costituzione", ha detto Assad. "Ma per questo c'è bisogno dell'approvazione del parlamento e se non ci saranno ritardi ad agosto si svolgeranno le elezioni e sarà allora il nuovo parlamento a occuparsi di eventuali emendamenti".
"Niente di nuovo, di fatto siamo al punto di partenza", ha commentato Omar Idlibi, uno dei portavoce dei Comitati di coordinamento locale in Siria (Lccs), principale piattaforma della mobilitazione pacifica contro i regime.
Assad ha accennato all'elaborazione di una legge elettorale, precisando però che la questione è in fase di studio da parte di una commissione creata ad hoc. "Significa - ha ripreso Idlibi - che se elezioni si svolgeranno davvero, e noi ne dubitiamo fortemente, i siriani saranno chiamati alle urne con l'attuale legge elettorale, che assegna d'ufficio la maggioranza al Baath e ai partiti satelliti", ha detto l'attivista.
Il presidente siriano ha inoltre affermato che attualmente in Siria, nota da decenni per la sua sicurezza interna, "ci sono circa 64.000 criminali ricercati". Per Idlibi, "il regime ammetta il suo fallimento oppure indichi da dove spuntano improvvisamente così tanti criminali".
E se il ministro degli esteri italiano Franco Frattini ha commentato le parole di Assad affermando che il presidente siriano in alcuni passaggi del suo discorso ha usato "le stesse frasi usate da Gheddafi all'inizio della repressione contro il suo popolo", il responsabile della diplomazia francese Alain Juppè ha detto che il rais di Damasco ha ormai raggiunto "un punto di non ritorno". Assad aveva esordito con un avvertimento ai "sabotatori" e ai "terroristi" responsabili - secondo il regime - delle violenze nel paese. E in particolare nella regione nord-occidentale di Idlib, al confine con la Turchia, da dove sono fuggiti oltre 10.000 civili. Ai profughi - che Assad ha però definito "migranti" alludendo implicitamente alla volontarietà dell'esodo - il rais ha assicurato che possono fare ritorno a casa senza incorrere in "azioni di rappresaglia da parte dell'esercito".
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Dopo due mesi di silenzio pubblico (l'ultimo intervento era datato 30 marzo) in forte contrasto col frastuono delle armi usate dal regime di Damasco secondo gli attivisti per reprimere il dissenso o, secondo la versione ufficiale, per combattere non meglio precisati "terroristi", il presidente siriano Bashar al-Assad è tornato a rivolgersi alla nazione riproponendo le stesse promesse di riforme politiche dei due precedenti interventi senza fornire nessun calendario preciso per la loro realizzazione e senza menzionare gli oltre 1.300 siriani uccisi in tre mesi di proteste.
Al termine di oltre un'ora di discorso presidenziale trasmesso in diretta tv dall'aula magna dell'Università di Damasco, centinaia di siriani sono tornati in piazza per manifestare contro il regime in alcuni sobborghi di Damasco, nella campus universitario di Aleppo, a Homs e in due località della regione nord-occidentale di Idlib, al confine con la Turchia e teatro dall'inizio di giugno della massiccia operazione militare.
Il processo di riforme politiche ed economiche in Siria proseguirà, ha assicurato il rais, ma non nel caos e in un clima di sabotaggio contro la nazione. La Siria è vittima di un "complotto", ha detto il presidente che ha accusato "una esigua minoranza della società siriana", descritti come "microbi", "takfiri" (estremisti sunniti), di sfruttare le mobilitazioni popolari frutto di "richieste legittime del popolo". Secondo attivisti per i diritti umani, oltre 1.300 siriani, per lo più civili, sono stati uccisi in tre mesi di repressione.
Il rais siriano ha ignorato questa versione, preferendo rivolgere un ringraziamento ai "soldati che rischiano la vita per la sicurezza della nazione", alle "famiglie dei martiri" e ai "martiri" stessi, senza però specificare di quali vittime si tratti. Una delle principali richieste dei manifestanti e' l'abolizione della supremazia del Baath, partito al potere dal 1963, prevista dalla costituzione.
"Possiamo prevedere di emendare qualche articolo della costituzione", ha detto Assad. "Ma per questo c'è bisogno dell'approvazione del parlamento e se non ci saranno ritardi ad agosto si svolgeranno le elezioni e sarà allora il nuovo parlamento a occuparsi di eventuali emendamenti".
"Niente di nuovo, di fatto siamo al punto di partenza", ha commentato Omar Idlibi, uno dei portavoce dei Comitati di coordinamento locale in Siria (Lccs), principale piattaforma della mobilitazione pacifica contro i regime.
Assad ha accennato all'elaborazione di una legge elettorale, precisando però che la questione è in fase di studio da parte di una commissione creata ad hoc. "Significa - ha ripreso Idlibi - che se elezioni si svolgeranno davvero, e noi ne dubitiamo fortemente, i siriani saranno chiamati alle urne con l'attuale legge elettorale, che assegna d'ufficio la maggioranza al Baath e ai partiti satelliti", ha detto l'attivista.
Il presidente siriano ha inoltre affermato che attualmente in Siria, nota da decenni per la sua sicurezza interna, "ci sono circa 64.000 criminali ricercati". Per Idlibi, "il regime ammetta il suo fallimento oppure indichi da dove spuntano improvvisamente così tanti criminali".
E se il ministro degli esteri italiano Franco Frattini ha commentato le parole di Assad affermando che il presidente siriano in alcuni passaggi del suo discorso ha usato "le stesse frasi usate da Gheddafi all'inizio della repressione contro il suo popolo", il responsabile della diplomazia francese Alain Juppè ha detto che il rais di Damasco ha ormai raggiunto "un punto di non ritorno". Assad aveva esordito con un avvertimento ai "sabotatori" e ai "terroristi" responsabili - secondo il regime - delle violenze nel paese. E in particolare nella regione nord-occidentale di Idlib, al confine con la Turchia, da dove sono fuggiti oltre 10.000 civili. Ai profughi - che Assad ha però definito "migranti" alludendo implicitamente alla volontarietà dell'esodo - il rais ha assicurato che possono fare ritorno a casa senza incorrere in "azioni di rappresaglia da parte dell'esercito".
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