Libia, la Nato usa Twitter come fonte per bombardare

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Libia, la guerra avanza
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L’Alleanza Atlantica sa prevedere i movimenti delle truppe di Gheddafi grazie agli alert che gli insorti pubblicano su Twitter e YouTube. E intanto, a tre mesi dall'inizio delle operazioni, la Clinton accusa il raìs di usare gli stupri come armi da guerra

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di Nicola Bruno

Ci sono i droni (aerei senza piloti) telecomandati a distanza per portare a termine le missioni più a rischio. I satelliti che spiano tutti i movimenti sospetti sul territorio. E ora anche i social-media, utilizzati non solo come canale di distribuzione delle notizie, ma anche come vera e propria fonte per le operazioni di intelligence.

Secondo quanto dichiarato da un portavoce della Nato all’agenzia AFP, l’Alleanza Atlantica è riuscita a mettere a segno diversi raid contro gli obiettivi di Gheddafi proprio grazie alle notizie di 140 battute trovate su Twitter: “Prendiamo le informazioni da ogni fonte possibile. Anche quelle liberamente accessibili su Internet, come ad esempio Twitter”.

Un altro ufficiale ha poi precisato che il sito di microblogging è stato utilizzato soprattutto per raccogliere informazioni dalle città controllate dai ribelli (Misurata, Ajdabiya e Tripoli). In particolare, gli utenti hanno fornito dettagli fondamentali sugli spostamenti in tempo reale delle truppe governative e sull’esodo dei rifugiati. Si tratta di informazioni molto preziose per la Nato, dal momento che la risoluzione con cui l’ONU ha dato mandato di intervento in Libia esattamente tre mesi fa, il 17 marzo, vieta l’utilizzo di truppe di terra.

Le informazioni disponibili sui social media permettono così di sapere all’istante cosa accade nelle città in mano ai ribelli (qui una delle migliori liste di utenti che twittano dalla Libia), oppure di identificare la tipologia di armi usate dal governo (come si può vedere in questo video dalle immagini molto crude).

La partecipazione alle azioni di intelligence non si limita solo ai ribelli libici. Come ha raccontato nei giorni scorsi il quotidiano The Globe & Mail, una signora di 59 anni residente in Canada riesce a seguire le operazioni in Libia anche se si trova a migliaia di chilometri di distanza.
Grazie alla sua passione per l’attivismo online, Janice Clinch (questo il suo nome) è riuscita a diventare l’amministratrice del gruppo Facebook “Libyan Youth Movement”, che raccoglie gli aggiornamenti di molti ribelli di casa in Libia. Quando l’altro giorno ha notato che un membro di lungo corso segnalava che le truppe di Gheddafi avevano convertito una pompa di benzina in un quartier generale per l’esercito, la signora Clinch ha subito identificato le coordinate geografiche e le ha pubblicate su Facebook e Twitter chiedendo alla Nato di intervenire al più presto.

Lo stesso ha fatto Robert Rowley, cittadino statunitense appassionato di guerra. Incrociando diverse fonti satellitari è riuscito a scoprire che un fabbricato segnalato come “commerciale” in realtà ospitava al suo interno una serie di veicoli militari. Ha pubblicato il tutto su Twitter e... 10 ore dopo l’obiettivo è stato abbattuto da un raid della Nato.

Sia Janice che Robert non si sono mossi di loro iniziativa. Entrambi si erano imbattuti in un messaggio pubblicato su Twitter dall’account non ufficiale della Royal Navy britannica in cui si chiedeva di inviare segnalazioni geo-referenziate sui potenziali obiettivi da colpire in Libia.

Insomma, il crowdsourcing (e cioè l’esternalizzazione di una parte delle attività ad un gruppo di utenti indistinto online) sembra funzionare anche per la tecno-guerra del nuovo millennio. Fermo restando che, come si è affrettata a chiarire subito la Nato, tutte le segnalazioni trovate su Facebook e Twitter vengono sempre verificate dagli esperti di intelligence dell’Alleanza Atlantica.

Intanto, a tre mesi dall'inizio della guerra, il segretario di Stato Usa Hillary Clinton ha accusato le truppe del leader libico Muammar Gheddafi di aver trasformato gli stupri e le "violenze contro le donne" in "strumenti di guerra. Un'accusa già avanzata pochi giorni fa dalla Corte penale Internazionale.

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