Attentato in Libano, La Russa: "Troppi soldati in missione"

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Il giorno dopo la bomba che ha ferito sei militari italiani, il ministro della Difesa annuncia una riduzione del contingente. Intanto sembrano migliorare le condizioni dei nostri soldati rimasti coinvolti, mentre arriva anche la condanna dell’Onu. VIDEO

Il giorno dopo l’attentato che ha ferito sei militari italiani impegnati in Libano, arriva la condanna dell’Onu e anche il monito del ministro della Difesa Ignazio La Russa che, in un’intervista a Repubblica, avverte: “Non abbiamo intenzione di abbandonare unilateralmente il Libano, ma 1780 soldati impegnati nella missione sono troppi”. E intanto emergono anche le prime mezze ipotesi sull’origine della bomba che ha fatto saltare in aria il convoglio dell’Unifil sul quale viaggiavano i caschi blu italiani, le cui condizioni – secondo quanto si apprende – sarebbero in via di miglioramento.

I sei feriti – Da fonti militari si apprende che le condizioni dei sei caschi blu italiani (quattro campani e due pugliesi) feriti venerdì 27 maggio in un attentato in Libano sarebbero in via di miglioramento. Tutti i militari coinvolti, non appena le condizioni lo consentiranno, faranno rientro in Italia. In particolare sarebbero due quelli che versano nelle condizioni più serie. E per questo, poco dopo l’attentato, si erano succedute notizie contraddittorie. Diverse agenzie giornalistiche, facendo riferimento a fonti vicine al Ministero della Difesa, avevano infatti dapprima parlato di un morto, poi di due, prima di smentire la notizia riferendo del ferimento di sei soldati. Sempre venerdì il ministro della Difesa La Russa, parlando a margine di un evento a Milano, aveva poi confermato il ferimento dei sei peacekeeper e, quanto ai due colpiti più seriamente, aveva precisato: "Uno rischia di perdere un occhio, mentre l'altro ha una lacerazione alla carotide ed è stato già operato".

La Russa: “L’apporto dell’Italia in Libano è sproporzionato”
- "Non abbiamo intenzione di abbandonare unilateralmente il Libano, ma 1780 soldati impegnati nella missione sono troppi. Va avviata un'azione diplomatica subito, per coinvolgere nell'operazione anche altri Paesi europei e dell'America Latina. La situazione nell'area è molto difficile: l'apporto dell'Italia è sproporzionato, ma il numero degli effettivi del contingente internazionale dell'Unifil non può essere ridotto". Così il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, in un'intervista a Repubblica in merito all'attentato in Libano nel quale sono rimasti feriti sei militari italiani. "L'Italia - prosegue - non ha intenzione di lasciare il Paese. Nel 2006 la missione Unifil impose la pace dopo la guerra tra Israele ed Hezbollah. La nostra presenza è indispensabile, come ha detto il governo libanese al presidente della Repubblica Napolitano. Ma questo non vuol dire non prendere in seria considerazione l'ipotesi di ridurre la nostra presenza militare. Oggi - spiega - abbiamo in Libano 1780 soldati ma sono troppi: non avendo più il comando della missione, dobbiamo scendere a 1100 uomini al più presto. Insieme agli spagnoli, abbiamo sollecitato l'intervento di altri Paesi. Non molto tempo fa avevo dato l'incarico al generale Camporini di verificare la disponibilità a partecipare alla missione da parte di Stati maggiori di Paesi dell'America Latina e dell'Europa, ma questa iniziativa non ebbe seguito. Ora ci vuole una nuova azione diplomatica per spingere altri Stati, anche extra-europei, a fornire uomini e mezzi".

I sospetti sull’origine dell’attentato - Ci sarebbe la mano della  Siria dietro l'attacco che ha colpito un convoglio dell'Unifil a  Sidone, in Libano, ferendo i sei soldati italiani. E' quanto sostengono  fonti diplomatiche libanesi, che al quotidiano an-Nahar hanno  ricordato come il ministro degli Esteri di Damasco, Walid Muallim,  abbia affermato nei giorni scorsi che l'Unione europea si sarebbe  pentita di aver imposto sanzioni contro il regime del presidente  Bashar al-Assad. Le fonti anonime del quotidiano ritengono quindi che l'attacco  sia un messaggio di Damasco all'Europa e affermano che va letto in  questo modo anche il rapimento di sei turisti estoni nella Valle della Bekaa, sempre in Libano, a marzo. Un gesto che, a loro giudizio,  sarebbe stato un avvertimento e che potrebbe essere seguito da altre  iniziative, se il regime di Damasco continuerà a sentirsi a rischio.

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