Sparatoria a Gaza City tra le forze dell'ordine palestinesi e i responsabili dell'assassinio del volontario italiano. Due terroristi morti e un arrestato. La madre aveva chiesto: "Che i colpevoli paghino, ma nel rispetto della dignità umana". FOTO E VIDEO
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Si è chiuso nel sangue, in un campo profughi non lontano da Gaza City, il cerchio attorno ai salafiti ultraintegralisti additati da Hamas quali responsabili della morte di Vittorio Arrigoni, l'attivista filopalestinese rapito e ucciso la settimana scorsa nella Striscia di Gaza. L'epilogo si è consumato nel giro di poche ore, con un suicidio-omicidio in perfetto stile jihadista, all'indomani dell'addio del feretro di Arrigoni alla terra che aveva scelto come patria di elezione in nome di un'adesione incondizionata alla causa palestinese, e nella quale ha trovato la morte.
I tre ricercati, già individuati con nomi e foto segnaletiche dopo l'arresto nei giorni scorsi di due presunti complici, sono stati scovati alla fine in una bicocca del campo profughi Nuseirat - fucina tradizionale del radicalismo più violento - dove si erano asserragliati armati fino ai denti. E dopo un assedio durato per tutto il pomeriggio, punteggiato da sparatorie e tentativi di negoziato, sono stati stanati con un blitz condotto in forze dalla polizia di Hamas. Il bilancio è stato di due morti e un arrestato sulla trincea dei fuggitivi, di tre feriti fra le forze dell'ordine.
Secondo testimoni oculari, è stata un piccola battaglia. Dapprima l'accerchiamento; poi i tentativi di mediazione (falliti) di alcuni familiari e di Abdel-Walid al-Maqdisi, il capo fazione salafita di passaporto egiziano arrestato a Gaza meno di due mesi fa e del quale la stessa cellula responsabile del sequestro di Arrigoni aveva chiesto inizialmente la liberazione in cambio del volontario italiano; infine l'assalto, le raffiche, l'esplosione, l'inferno. Sul terreno è rimasto Abu Abdel Rahman Bereitz, detto 'Il Giordano', che - secondo quanto riferito da fonti della sicurezza di Hamas - si sarebbe sparato per evitare la cattura. Ma non prima di aver fatto esplodere una granata per portarsi dietro anche i due compagni palestinesi: Bilal al-Omari, morto a sua volta poco dopo per le ferite riportate, e Mohammad Salfiti, l'unico superstite arrestato.
Un finale di partita del tutto in linea con il fanatismo (ispirato agli slogan di Al Qaida) dei gruppuscoli salafiti entrati in collisione con l'islamismo di Hamas da posizioni ancor più radicali. E che sembra confermare il ruolo di regista della feroce eliminazione di 'Vik' attribuito a Bereitz: un ex studente di ingegneria di 22 anni, originario della Giordania, che a Gaza - come ha raccontato suo padre da Amman, incredulo - si era dedicato "allo studio della sharia islamica". Per Hamas potrebbe essere a questo punto una pratica chiusa. Che tuttavia non cancella le ombre dell'altalenante rapporto con i salafiti in generale, e con i componenti di questa cellula in particolare: provenienti quasi tutti dai ranghi delle Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato dello stesso Hamas. Né sembra saldare davvero i conti con la memoria di Vittorio Arrigoni.
Uscita lunedì 18 aprile con onori funebri solenni dalla Striscia, la salma del cooperante italiano è stata esposta al Cairo in una camera ardente. Poi è attesa in Italia per i funerali, che si svolgeranno a Bulciago, il paese della provincia di Lecco da cui era partito e di cui sua madre, Egidia Beretta, è sindaco. E proprio da Bulciago è rimbalzato verso Gaza l'appello di Egidia Beretta affinché venga fatta giustizia per la morte del figlio, ma non giustizia sommaria. "Che i colpevoli paghino, ma nel rispetto della dignità della vita umana", ha invocato la donna, con parole di 'pietas' che possono ancora valere almeno per i tre presunti responsabili sopravvissuti. "So che a Gaza vige la pena di morte, ma io sono contraria e anche Vittorio lo era", ha sottolineato la madre, aggiungendo che se la tragedia di Gaza non portasse "frutti di pace e di speranza", a essere tradito sarebbe proprio il motto di suo figlio: 'Restiamo umani'.
Un grido che a Gaza in queste ore riecheggia più flebile che mai. Dal campo insanguinato di Nuseirat, così come dalla prigione da cui oggi stesso è riemerso cadavere un attivista di Fatah, il partito laico rivale di Hamas nell'irriducibile conflitto interno fra palestinesi che Arrigoni aveva sempre deplorato: suicida secondo la versione ufficiale, "suicidato" dai carcerieri secondo i familiari.
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I tre ricercati, già individuati con nomi e foto segnaletiche dopo l'arresto nei giorni scorsi di due presunti complici, sono stati scovati alla fine in una bicocca del campo profughi Nuseirat - fucina tradizionale del radicalismo più violento - dove si erano asserragliati armati fino ai denti. E dopo un assedio durato per tutto il pomeriggio, punteggiato da sparatorie e tentativi di negoziato, sono stati stanati con un blitz condotto in forze dalla polizia di Hamas. Il bilancio è stato di due morti e un arrestato sulla trincea dei fuggitivi, di tre feriti fra le forze dell'ordine.
Secondo testimoni oculari, è stata un piccola battaglia. Dapprima l'accerchiamento; poi i tentativi di mediazione (falliti) di alcuni familiari e di Abdel-Walid al-Maqdisi, il capo fazione salafita di passaporto egiziano arrestato a Gaza meno di due mesi fa e del quale la stessa cellula responsabile del sequestro di Arrigoni aveva chiesto inizialmente la liberazione in cambio del volontario italiano; infine l'assalto, le raffiche, l'esplosione, l'inferno. Sul terreno è rimasto Abu Abdel Rahman Bereitz, detto 'Il Giordano', che - secondo quanto riferito da fonti della sicurezza di Hamas - si sarebbe sparato per evitare la cattura. Ma non prima di aver fatto esplodere una granata per portarsi dietro anche i due compagni palestinesi: Bilal al-Omari, morto a sua volta poco dopo per le ferite riportate, e Mohammad Salfiti, l'unico superstite arrestato.
Un finale di partita del tutto in linea con il fanatismo (ispirato agli slogan di Al Qaida) dei gruppuscoli salafiti entrati in collisione con l'islamismo di Hamas da posizioni ancor più radicali. E che sembra confermare il ruolo di regista della feroce eliminazione di 'Vik' attribuito a Bereitz: un ex studente di ingegneria di 22 anni, originario della Giordania, che a Gaza - come ha raccontato suo padre da Amman, incredulo - si era dedicato "allo studio della sharia islamica". Per Hamas potrebbe essere a questo punto una pratica chiusa. Che tuttavia non cancella le ombre dell'altalenante rapporto con i salafiti in generale, e con i componenti di questa cellula in particolare: provenienti quasi tutti dai ranghi delle Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato dello stesso Hamas. Né sembra saldare davvero i conti con la memoria di Vittorio Arrigoni.
Uscita lunedì 18 aprile con onori funebri solenni dalla Striscia, la salma del cooperante italiano è stata esposta al Cairo in una camera ardente. Poi è attesa in Italia per i funerali, che si svolgeranno a Bulciago, il paese della provincia di Lecco da cui era partito e di cui sua madre, Egidia Beretta, è sindaco. E proprio da Bulciago è rimbalzato verso Gaza l'appello di Egidia Beretta affinché venga fatta giustizia per la morte del figlio, ma non giustizia sommaria. "Che i colpevoli paghino, ma nel rispetto della dignità della vita umana", ha invocato la donna, con parole di 'pietas' che possono ancora valere almeno per i tre presunti responsabili sopravvissuti. "So che a Gaza vige la pena di morte, ma io sono contraria e anche Vittorio lo era", ha sottolineato la madre, aggiungendo che se la tragedia di Gaza non portasse "frutti di pace e di speranza", a essere tradito sarebbe proprio il motto di suo figlio: 'Restiamo umani'.
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