Due persone sono state arrestate per la morte del volontario italiano, ucciso a Gaza. Adepti della galassia salafita ultra-integralista, proverrebbero dall'ala militare dello stesso Hamas. Ancora custodita in un ospedale di Gaza City la salma di Vik
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Da Roma a Gaza: "Ciao Vittorio". Le foto
La sua testimonianza da Gaza a Facebook
La madre: "Vittorio non si metteva mai in pericolo"
"Vik" Arrigoni, il blogger dalla parte dei palestinesi
(In fondo all'articolo i video su Vittorio Arrigoni)
Si fa largo una primo "squarcio di verità" sull'atroce morte di Vittorio Arrigoni nella Striscia di Gaza. Ed è una verità scomoda per Hamas, la fazione islamica al potere nell'enclave palestinese. Lo rivelano le confessioni e i profili di due arrestati nel quadro delle indagini sul rapimento e l'uccisione del volontario italiano: entrambi adepti della galassia salafita ultra-integralista, ma entrambi provenienti dall'ala militare dello stesso Hamas. E tuttora in organico nei ranghi della sicurezza, secondo quanto 'soffiato' stasera all'Ansa da fonti investigative.
I due hanno ora anche un nome e cognome e avrebbero ammesso di essere stati rispettivamente il killer di Arrigoni (l'uomo che lo strangolato con le proprie mani, con un cavo metallico o qualcosa di simile) e uno dei basisti del sequestro. Si chiamano Farid Bahar e Tamer al-Alhasasnah e sono originari del campo profughi di Shati, a ovest di Gaza City, uno dei luoghi della disperazione palestinese che fanno da incubatrice al radicalismo violento. Secondo le fonti, farebbero parte di una cellula coperta di cinque persone ritenuta responsabile del rapimento, delle sevizie e della morte di Arrigoni. Una cellula approdata al jihadismo filo-al Qaida di uno dei gruppuscoli salafiti di Gaza dalle file dello zoccolo più duro di Hamas, ma almeno in alcuni suoi elementi rimasta ancora agganciata alla casa madre.
Un terzo sospetto, ugualmente fermato in queste ore, sembra invece uscire dal filone principale dell'indagine. Mentre restano ricercati i tre presunti complici principali di Bahar e al-Alhasasnah: altri due palestinesi di Shati e un jihadista giordano indicato come "un infiltrato".
Per stanarli, le autorità di Hamas, oltre ad aver disposto retate su vasta scala e interrogatori a tappeto fra i simpatizzanti delle fazioni salafite locali, hanno ordinato in queste ore la chiusura senza eccezioni dei tunnel del contrabbando fra la Striscia di Gaza e l'Egitto. Anche se resta per ora senza conferme la voce secondo la quale l'ordine del sequestro di Arrigoni sarebbe partito proprio dal Sinai egiziano, retroterra logistico di sacche di palestinesi ultrà e zona di contatto con esponenti islamico-radicali stranieri.
Trapela del resto evidente il desiderio di Hamas di trarsi d'imbarazzo dopo l'assassinio di un sostenitore incondizionato della causa palestinese, che da anni viveva apparentemente come uno di casa nella Striscia. "Non ci sono parole per esprimere la condanna di un crimine così efferato, che non rappresenta il popolo palestinese", ha detto a Repubblica il premier Ismail Hanyeh- abbiamo fatto tutto il possibile per cercare di ritrovarlo prima di quel drammatico epilogo. Vittorio è un nostro martire".
Al coro di cordoglio si è unita anche la voce di Khaled Abu Arafeh, ministro del governo di Hamas, che in una intervista a La Stampa parla di "un'esecuzione disumana. Chiediamo scusa all'Italia". "Voglio dire a tutti - dice l'esponente governativo - che tra i palestinesi ci possono essere visioni politiche differenti, ma abbiamo un obiettivo comune: rafforzare la democrazia evitando ogni forma di violenza. In casi come questo, per un'uccisione così barbara possiamo solo esprimere sgomento. Senza possibilità di trovare alcuna giustificazione. Né politica, né religiosa".
La salma del pacifista italiano, dopo gli omaggi popolari di venerdì, resta nel frattempo custodita nell'obitorio dell'ospedale Shifa di Gaza City. Potrebbe essere trasferita in Egitto domenica, o più probabilmente lunedì, tramite il valico di Rafah, per poi proseguire verso l'Italia. Lo si è appreso da fonti palestinesi ufficiali stando alle quali una legale italiana è già partita proprio per il Cairo, per conto della famiglia di Arrigoni, per occuparsi delle procedure necessarie.
La famiglia, come ha confermato la madre dell'ucciso, Egidia Beretta, vorrebbe evitare il passaggio del feretro attraverso Israele, per rispetto alla memoria dello scomparso e alla sua irriducibile battaglia contro le azioni israeliane nei Territori palestinesi. Battaglia che in almeno due casi costò a Vittorio Arrigoni provvedimenti di fermo da parte delle autorità dello Stato ebraico e duri periodi di detenzione.
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Si fa largo una primo "squarcio di verità" sull'atroce morte di Vittorio Arrigoni nella Striscia di Gaza. Ed è una verità scomoda per Hamas, la fazione islamica al potere nell'enclave palestinese. Lo rivelano le confessioni e i profili di due arrestati nel quadro delle indagini sul rapimento e l'uccisione del volontario italiano: entrambi adepti della galassia salafita ultra-integralista, ma entrambi provenienti dall'ala militare dello stesso Hamas. E tuttora in organico nei ranghi della sicurezza, secondo quanto 'soffiato' stasera all'Ansa da fonti investigative.
I due hanno ora anche un nome e cognome e avrebbero ammesso di essere stati rispettivamente il killer di Arrigoni (l'uomo che lo strangolato con le proprie mani, con un cavo metallico o qualcosa di simile) e uno dei basisti del sequestro. Si chiamano Farid Bahar e Tamer al-Alhasasnah e sono originari del campo profughi di Shati, a ovest di Gaza City, uno dei luoghi della disperazione palestinese che fanno da incubatrice al radicalismo violento. Secondo le fonti, farebbero parte di una cellula coperta di cinque persone ritenuta responsabile del rapimento, delle sevizie e della morte di Arrigoni. Una cellula approdata al jihadismo filo-al Qaida di uno dei gruppuscoli salafiti di Gaza dalle file dello zoccolo più duro di Hamas, ma almeno in alcuni suoi elementi rimasta ancora agganciata alla casa madre.
Un terzo sospetto, ugualmente fermato in queste ore, sembra invece uscire dal filone principale dell'indagine. Mentre restano ricercati i tre presunti complici principali di Bahar e al-Alhasasnah: altri due palestinesi di Shati e un jihadista giordano indicato come "un infiltrato".
Per stanarli, le autorità di Hamas, oltre ad aver disposto retate su vasta scala e interrogatori a tappeto fra i simpatizzanti delle fazioni salafite locali, hanno ordinato in queste ore la chiusura senza eccezioni dei tunnel del contrabbando fra la Striscia di Gaza e l'Egitto. Anche se resta per ora senza conferme la voce secondo la quale l'ordine del sequestro di Arrigoni sarebbe partito proprio dal Sinai egiziano, retroterra logistico di sacche di palestinesi ultrà e zona di contatto con esponenti islamico-radicali stranieri.
Trapela del resto evidente il desiderio di Hamas di trarsi d'imbarazzo dopo l'assassinio di un sostenitore incondizionato della causa palestinese, che da anni viveva apparentemente come uno di casa nella Striscia. "Non ci sono parole per esprimere la condanna di un crimine così efferato, che non rappresenta il popolo palestinese", ha detto a Repubblica il premier Ismail Hanyeh- abbiamo fatto tutto il possibile per cercare di ritrovarlo prima di quel drammatico epilogo. Vittorio è un nostro martire".
Al coro di cordoglio si è unita anche la voce di Khaled Abu Arafeh, ministro del governo di Hamas, che in una intervista a La Stampa parla di "un'esecuzione disumana. Chiediamo scusa all'Italia". "Voglio dire a tutti - dice l'esponente governativo - che tra i palestinesi ci possono essere visioni politiche differenti, ma abbiamo un obiettivo comune: rafforzare la democrazia evitando ogni forma di violenza. In casi come questo, per un'uccisione così barbara possiamo solo esprimere sgomento. Senza possibilità di trovare alcuna giustificazione. Né politica, né religiosa".
La salma del pacifista italiano, dopo gli omaggi popolari di venerdì, resta nel frattempo custodita nell'obitorio dell'ospedale Shifa di Gaza City. Potrebbe essere trasferita in Egitto domenica, o più probabilmente lunedì, tramite il valico di Rafah, per poi proseguire verso l'Italia. Lo si è appreso da fonti palestinesi ufficiali stando alle quali una legale italiana è già partita proprio per il Cairo, per conto della famiglia di Arrigoni, per occuparsi delle procedure necessarie.
La famiglia, come ha confermato la madre dell'ucciso, Egidia Beretta, vorrebbe evitare il passaggio del feretro attraverso Israele, per rispetto alla memoria dello scomparso e alla sua irriducibile battaglia contro le azioni israeliane nei Territori palestinesi. Battaglia che in almeno due casi costò a Vittorio Arrigoni provvedimenti di fermo da parte delle autorità dello Stato ebraico e duri periodi di detenzione.