Libia, l’altolà dei ribelli: “Via Gheddafi o niente tregua”

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Il governo degli insorti ha respinto la proposta dei mediatori dell'Unione africana ponendo come condizione per la pace l'allontanamento del raìs. Una prospettiva che il figlio del Colonnello, Saif al Islam ha definito "ridicola"

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Muammar Gheddafi e la sua famiglia devono lasciare il potere, ogni negoziato con gli insorti di Bengasi è altrimenti impossibile. L'attesa missione della delegazione dell'Unione africana (Ua) a Tripoli e Bengasi per trovare una soluzione al conflitto che si protrae da quasi due mesi non ha schiarito il cielo della Libia, dove i jet della Nato continuano a colpire "per difendere la popolazione" e le forze fedeli al raìs a lanciare attacchi a Misurata, stretta sempre più nella morsa dell'assedio, e Ajdabiya, che sembra essere tornata per ora nelle mani dei ribelli.

Si infittiscono intanto i contatti tra il governo italiano e gli insorti: il ministro degli Esteri Franco Frattini incontra a Roma il 12 aprile il 'ministro degli Esteri' del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), Ali al-Isawi, e il generale Abdel-Fattah Younis, capo delle operazioni militari. A Bengasi, il capo del Consiglio, Mustafa Jalil, ha spiegato di esser stato costretto a far saltare l'incontro previsto col premier Silvio Berlusconi a causa della "gravità della situazione nel Paese". Fonti vicine al 'governo' di Bengasi hanno poi sottolineato che la missione di Jalil presentava anche difficoltà logistiche, ma hanno assicurato che "Jalil vuole andare nei tre Paesi che hanno riconosciuto il Cnt", e che la missione italiana potrebbe celebrarsi a breve, "nei prossimi sette giorni", come annunciato dallo stesso Jalil in conferenza stampa a Bengasi.

La delegazione dei mediatori dell'Ua era arrivata nella capitale dei ribelli dopo aver incassato uno scontato e prevedibile sì del rais alla road map definita nelle scorse settimane. Ma il cessate il fuoco, il via libera agli aiuti umanitari, l'ipotesi di un governo di transizione a doppia guida, messi sul piatto dai rappresentanti africani ha incontrato un altrettanto scontato 'niet' dei ribelli. "La road map che Gheddafi ha accettato risale a un mese fa - ha detto Jalil - Non tiene conto del fatto che le forze del rais hanno continuato nel frattempo a bombardare e uccidere i civili, a strangolare le città. Gheddafi e i suoi figli se ne vadano, di loro spontanea volontà, o verranno mandati via dal popolo: noi possiamo solo vincere o morire", ha tuonato.

Indirettamente è giunta la risposta del regime, con un'intervista del figlio del leader libico Saif al Islam alla tv francese BFM: è "davvero ridicolo", parlare di partenza del raìs, ha affermato, pur riconoscendo che la Libia ha bisogno di "sangue nuovo", di una "nuova elite" per costruire un Paese "completamente diverso".

Intanto, sul fronte militare, continua la battaglia. Un alto ufficiale della Nato ha sottolineato che l'Alleanza continuerà a "mettere pressione contro le forze che minacciano la popolazione civile: "I nostri aerei stanno volando e quando vedono una minaccia per i civili, intervengono", ha aggiunto l'alto ufficiale. "Non sembra che questa indicazione di accordo di pace abbia nessuna sostanza a questo momento".

A maggior conferma, gli scontri tra fedelissimi del regime e anti-governativi sono continuati lunedì 11 aprile a Misurata, dove si combatte casa per casa, con le forze di Gheddafi che continuano a martellare la città con artiglieria e razzi, e i cecchini che non danno tregua, e ad Ajdabiya, tornata nelle mani degli insorti che hanno rastrellato la zona. Almeno 35 i morti tra le fila dei soldati di Tripoli. Testimoni raccontano di scene drammatiche, con i cecchini rimasti isolati che si suicidano per non finire nelle mani dei ribelli. A Bengasi hanno poi ripreso vigore le notizie di possibili attentati con autobomba, così come di squadre di commando che si sarebbero infiltrate in città per colpire soprattutto i giornalisti. Sono quasi due mesi e la Libia sprofonda sempre più nell'abisso senza ritorno della guerra civile.

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