Fondi da una straniera: ministro giapponese si dimette

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Seiji Maehara, fino a poco tempo fa dato tra i possibili successori del premier, ha rassegnato le dimissioni per aver accettato 50.000 yen da una coreana. L'accusa: ha violato la legge che vieta di accettare contributi da cittadini o enti stranieri

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Il ministro degli Esteri giapponese, Seiji Maehara, 48 anni, ha deciso di dimettersi a seguito delle polemiche nate dalla donazione di 50.000 yen (poco più di 400 euro euro) ricevuti da una 'zainichi', una cittadina coreana di 72 anni residente da sempre in Giappone e titolare a Kyoto di un piccolo ristorante di 'yakiniku', una specie di barbecue locale.
Lo anticipa l'agenzia Kyodo, riportando "fonti vicine" all' esponente di punta dei Democratici, il partito al potere da settembre 2009, al termine di una giornata in cui le forze di opposizione hanno chiesto a gran voce le sue dimissioni.

Maehara, che ha solo 48 anni, era dato tra i possibili successori del premier Naoto Kan ed è finito nella bufera dopo l'accusa lanciatagli da Shoji Nishida, senatore dell'opposizione liberaldemocratica, di aver violato la severissima legge che vieta di accettare contributi da cittadini o entità stranieri per scongiurare "possibili condizionamenti esterni o influenze sulla politica del Giappone".
I responsabili di gruppi politici rischiano, in caso contrario, multe o la prigione, con la sospensione dei diritti elettorali attivi e passivi.  Nishida ha parlato di 200.000 yen percepiti in quattro anni, mentre Maehara, ammettendone solo 50.000, ha ribattuto che non ne era comunque a conoscenza e che il rapporto con la donatrice coreana risale addirittura all'infanzia.

L'anziana donatrice fa parte di quei circa 500mila coreani che risiedono in Giappone da decenni. Il termine con il quale vengono definiti è zainichi (appunto, "residenti di lungo periodo") e molto spesso si trovano in Giappone da prima che la Corea venisse spezzata in due. Molti di loro si sentono più vicini alla Corea del Nord più che per motivi ideologici per la disponibilità del regime di Pyongyang di concedere loro la cittadinanza (la Corea del Sud la concede solo in caso di rimpatrio).

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