Libia, le due settimane della rivolta contro Gheddafi

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17 febbraio 2011: gli scontri tra manifestanti e forze dell'ordine fanno otto morti e decine di feriti. E' l'inizio di una ribellione non ancora conclusa che, secondo diversi osservatori, è già costata la vita a migliaia di persone. FOTO E VIDEO

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Sangue, morti e scontri. A due settimane dall'inizio della rivolta contro il regime di Gheddafi, non si placano la protesta dei ribelli per abbattere la dittatura del Colonello.
Una protesta dura e soprattutto sanguinosa, iniziata nella notte tra il 15 e il 16 febbraio, quando la polizia disperde con la forza un sit-in di protesta a Bengasi, ferendo 38 persone. Nello stesso giorno, i manifestanti chiedono la liberazione di un avvocato delle famiglie di prigionieri uccisi nel 1996 in una sparatoria in un carcere a Tripoli (morirono oltre 1.000 persone), mentre Ad Al Baida, sempre in Cirenaica, due dimostranti vengono uccisi dalle forze di sicurezza.
E' l'inizio di un'escalation che, ad oggi, non si è placata.

17 febbraio: scontri tra manifestanti e forze dell'ordine fanno otto morti e decine di feriti. Diffusi via Facebook appelli a partecipare alla "giornata della collera".

18 febbraio: il bilancio degli scontri supera i 40 morti. A Bengasi viene incendiata la sede della radio locale. Due poliziotti vengono impiccati dai manifestanti ad Al Baida.

19 febbraio: secondo Human Rights Watch (Hrw) sono oltre 80 i morti nei tre giorni precedenti. Altri morti a Bengasi.

20 febbraio: la protesta non si ferma, ma la repressione è sanguinosa. Fonti mediche affermano che sono 285 le persone uccise a Bengasi dall'inizio della protesta. Emergenza negli ospedali. In serata uno dei figli di Gheddafi dice che la Libia è vittima di un complotto esterno, rischia di essere divisa in diversi emirati islamici, di tornare preda del colonialismo.

21 febbraio: sempre più sanguinosa la repressione. Bombe nella capitale. Si parla di almeno 250 morti. Incendi in sedi di parlamento e governo, saccheggiata la tv di stato. Le società petrolifere (Eni in testa) evacuano il personale non operativo. Due piloti militari libici fuggono a Malta con i loro caccia.

22 febbraio: disccorso di Muammar Gheddafi in tv. "Rimarrò fino alla morte", ripete.

23 febbraio: Il componente libico della Corte penale internazionale (Cpi) parla di 10mila morti; per un medico francese appena rientrato più di 2.000 solo a Bengasi.

24 febbraio: la rivolta si estende verso ovest, con alcune città come Zuara controllate dai comitati popolari anti-governo, mentre a Tripoli, ultimo vero bastione del regime, si concentrano le truppe dei fedelissimi.
Gheddafi torna a parlare: "La rivolta è una farsa cui porre fine, le richieste dei ribelli sono dettate da Bin Laden".
L'Ue annuncia di essere pronta per un intervento militare umanitario. In mattinata, per "tagliare le linee" dei rivoltosi, l'esercito lancia una offensiva a Zawia, a ovest di Tripoli: "Un massacro", dice un ex militare. Il presidente Usa, Obama, e quello francese, Sarkozy chiedono lo "stop immediato all'uso della forza".

25 febbraio: militanti pro-Gheddafi aprono il fuoco contro i manifestanti in alcuni quartieri di Tripoli. Seif Al-Islam riconosce la perdita del controllo dell'est del Paese. Allo studio del consiglio di sicurezza Onu anche una no-fly zone. Vari ambasciatori libici rinnegano Gheddafi. Gli Usa congelano i beni del colonnello.

26 febbraio: spari in serata a Tripoli dopo una giornata di calma tesa. Mercenari elitrasportati a Misurata (terza città della Libia) aprono il fuoco sui manifestanti. Spari anche vicino a Sabrata, a ovest della capitale. Il figlio di Gheddafi, Seif al Islam, interviene di nuovo per dire che c'è rischio di guerra civile e che nel 75% del Paese c'è calma. Continua la fuga degli stranieri. Gran Bretagna e Francia sospendono le attività delle loro ambasciate.

27 febbraio: nella notte il Consiglio di sicurezza Onu approva le sanzioni, in primis blocco dei beni di Gheddafi e famiglia, embargo a vendita di armi.
A Bengasi gli oppositori formano un Consiglio nazionale libico ma dicono no a ingerenze straniere. La cittadina di Zawia, a una ventina di km da Tripoli, è in mano ai rivoltosi. Gheddafi ripete che non se ne andrà, accusa gli stranieri e al Qaida di essere responsabili di quanto sta succedendo. Intanto è emergenza sanitaria al confine con la Tunisia. Londra congela i beni di Gheddafi e famiglia.

28 febbraio
: continuano manifestazioni e scontri, anche a Tripoli dove ci sarebbero morti e feriti. E continua anche l'esodo: secondo l'Onu 100.000 persone sono entrate in Tunisia e Egitto. Intervista di Gheddafi a media stranieri: "Il mio popolo di adora", dice. Il presidente Usa Barack Obama incontra il segretario generale Onu, Ban ki-Moon. Il Tesoro Usa dice di aver congelato beni libici per 30 miliardi di dollari.

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