La Casa Bianca e il Palazzo di Vetro rompono gli indugi, e in sintonia con l'Unione Europea, sanciscono nei fatti l'isolamento internazionale del dittatore. Intanto a Tripoli si teme una guerra civile. E spunta l'ipotesi di un governo ad interim
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Barack Obama chiede esplicitamente al colonnello Muammar Gheddafi di lasciare il potere "per il bene del suo Paese". Nello stesso tempo, anche le Nazioni Unite si mobilitano formalmente contro il rais. Il consiglio di Sicurezza nella notte tra sabato 26 e domenica 27 ha approvato all'unanimità sanzioni contro il suo regime e i membri della sua famiglia.
Mentre a Tripoli si teme lo scoppio di una guerra civile e si parla di un nuovo governo ad interim che potrebbe essere annunciato domenica 27, la Casa Bianca e il Palazzo di Vetro rompono così gli indugi, e di concerto con l'Unione Europea, sanciscono nei fatti l'isolamento internazionale del dittatore libico.
Durissimo anche l'intervento del segretario di Stato, Hillary Clinton: "Gheddafi dovrebbe andare via senza ulteriori bagni di sangue e altre violenze. Il popolo libico ha spiegato in modo chiaro cosa pensa del suo governo", ha sottolineato. Prima che il Consiglio di Sicurezza definisca gli ultimi dettagli della risoluzione contro il regime, il segretario Generale Ban Ki Moon chiama il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Con il premier, riferisce un comunicato dell'Onu, Ban "ha discusso le opzioni disponibili per risolvere la crisi e ha chiesto il continuo appoggio dell'Italia ed un suo ruolo attivo per un'azione decisiva". Un ruolo assicurato da Berlusconi che dal canto suo - informa in questo caso una nota di Palazzo Chigi - "ha sottolineato il ruolo centrale dell'Onu nel promuovere una reazione efficace della comunità internazionale, sottolineando l'impegno dell'Italia a cooperare in tutti i fori multilaterali per una soluzione rapida e pacifica della crisi".
Con Ban il premier ha inoltre "condiviso la necessità di porre termine alle violenze sui civili e alle violazioni del diritto umanitario e internazionale, e quella di garantire un futuro di stabilita' e integrità della Libia". E proprio per ottenere questa "azione decisiva", porre fine alla repressione e allo spargimento di sangue nelle strade di Tripoli, i quindici del Consiglio di Sicurezza, in linea con l'Unione Europea, trovano l'accordo per imporre un embargo sulle armi, il blocco dei beni del Colonnello e dei suoi familiari, oltre al divieto di viaggiare nell'Unione Europea.
La risoluzione prevede in particolare sanzioni dirette contro il leader, Muammar Gheddafi, otto dei suoi figli, due cugini e undici esponenti del regime di Tripoli, 22 persone in tutto. Nel documento si impone ai 192 Paesi che fanno parte delle Nazioni Unite di "congelare senza ritardo tutti i fondi, le disponibilità finanziarie e le risorse economiche di questi individui".
Oltre all'embargo sulle forniture di armi, la bozza prevede un deferimento alla Corte Penale internazionale dell'Aja, competente per giudicare i crimini di guerra contro l'umanità. Secondo i Quindici, oltre a Gheddafi, primo responsabile dell'eccidio in qualità di "comandante delle Forze Armate", vanno colpiti anche due suoi cugini, Ahmed Mohammed Ghedaf al-Daf, artefice di "operazione contro i dissidenti libici all'estero e coinvolto direttamente in attivita' terroristiche", e Sayyid Mohammed Ghedaf al-Daf, "coinvolto in una campagna di assassini di dissidenti e probabilmente di una serie di uccisioni in giro nell'Europa".
Presi di mira anche il capo delle Forze Armate, il colonnello Masud Abdulhafiz, il ministro della Difesa, generale Abu Bakr Yunis, il capo dell'antiterrorismo, Abdussalam Mohammed Abdussalam, oltre ad altri vertici dell'intelligence e dei comitati rivoluzionari. Infine, come ha indicato l'ambasciatrice degli Stati Uniti Susan Rice, le risoluzione fa riferimento all'articolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, che non esclude un intervento internazionale se necessario.
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Mentre a Tripoli si teme lo scoppio di una guerra civile e si parla di un nuovo governo ad interim che potrebbe essere annunciato domenica 27, la Casa Bianca e il Palazzo di Vetro rompono così gli indugi, e di concerto con l'Unione Europea, sanciscono nei fatti l'isolamento internazionale del dittatore libico.
Durissimo anche l'intervento del segretario di Stato, Hillary Clinton: "Gheddafi dovrebbe andare via senza ulteriori bagni di sangue e altre violenze. Il popolo libico ha spiegato in modo chiaro cosa pensa del suo governo", ha sottolineato. Prima che il Consiglio di Sicurezza definisca gli ultimi dettagli della risoluzione contro il regime, il segretario Generale Ban Ki Moon chiama il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Con il premier, riferisce un comunicato dell'Onu, Ban "ha discusso le opzioni disponibili per risolvere la crisi e ha chiesto il continuo appoggio dell'Italia ed un suo ruolo attivo per un'azione decisiva". Un ruolo assicurato da Berlusconi che dal canto suo - informa in questo caso una nota di Palazzo Chigi - "ha sottolineato il ruolo centrale dell'Onu nel promuovere una reazione efficace della comunità internazionale, sottolineando l'impegno dell'Italia a cooperare in tutti i fori multilaterali per una soluzione rapida e pacifica della crisi".
Con Ban il premier ha inoltre "condiviso la necessità di porre termine alle violenze sui civili e alle violazioni del diritto umanitario e internazionale, e quella di garantire un futuro di stabilita' e integrità della Libia". E proprio per ottenere questa "azione decisiva", porre fine alla repressione e allo spargimento di sangue nelle strade di Tripoli, i quindici del Consiglio di Sicurezza, in linea con l'Unione Europea, trovano l'accordo per imporre un embargo sulle armi, il blocco dei beni del Colonnello e dei suoi familiari, oltre al divieto di viaggiare nell'Unione Europea.
La risoluzione prevede in particolare sanzioni dirette contro il leader, Muammar Gheddafi, otto dei suoi figli, due cugini e undici esponenti del regime di Tripoli, 22 persone in tutto. Nel documento si impone ai 192 Paesi che fanno parte delle Nazioni Unite di "congelare senza ritardo tutti i fondi, le disponibilità finanziarie e le risorse economiche di questi individui".
Oltre all'embargo sulle forniture di armi, la bozza prevede un deferimento alla Corte Penale internazionale dell'Aja, competente per giudicare i crimini di guerra contro l'umanità. Secondo i Quindici, oltre a Gheddafi, primo responsabile dell'eccidio in qualità di "comandante delle Forze Armate", vanno colpiti anche due suoi cugini, Ahmed Mohammed Ghedaf al-Daf, artefice di "operazione contro i dissidenti libici all'estero e coinvolto direttamente in attivita' terroristiche", e Sayyid Mohammed Ghedaf al-Daf, "coinvolto in una campagna di assassini di dissidenti e probabilmente di una serie di uccisioni in giro nell'Europa".
Presi di mira anche il capo delle Forze Armate, il colonnello Masud Abdulhafiz, il ministro della Difesa, generale Abu Bakr Yunis, il capo dell'antiterrorismo, Abdussalam Mohammed Abdussalam, oltre ad altri vertici dell'intelligence e dei comitati rivoluzionari. Infine, come ha indicato l'ambasciatrice degli Stati Uniti Susan Rice, le risoluzione fa riferimento all'articolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, che non esclude un intervento internazionale se necessario.
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