Ultras Serbia, se l'estrema destra condiziona la politica
MondoViolenti e nazionalisti, nei giorni scorsi hanno dato fuoco a Belgrado durante il Gay Pride. Si battono contro l'entrata nella Ue. Fra i loro capi, Ivan Bogdanov: uno degli estremisti più noti. Che nonostante tutto è riuscito ad arrivare a Genova
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Sono violenti e nazionalisti. Ma se chiedi a questi ultras con i fumogeni nel giubbotto perché vanno allo stadio ti rispondono confusi: “Non lo so, seguo gli amici”. I ragazzi che ingrossano le fila degli ultras serbi hanno in genere dai 15 ai 30 anni, arrivano da famiglie umili di periferia (ma non mancano i rampolli della Belgrado bene), il loro livello di educazione è basso, si identificano negli ideali dell’estrema destra. E puntano a condizionare la politica della Serbia, dai rapporti con il Kosovo all'entrata nella Ue che cercano in ogni modo di minare.
Ce li racconta Isotta Galloni, giovane giornalista italiana che da tre anni vive e lavora a Belgrado per l’agenzia giornalistica Apcom e varie testate italiane.
“In Serbia c’è una fetta di gioventù quasi allo sbando, che nessuno riesce a canalizzare. Molti di questi finiscono nelle tifoserie delle squadre. Gruppi violenti e organizzati, che si dice siano finanziati da movimenti dell’estrema destra e da tycoon serbi. Ma nessuno, per ora, ne ha le prove”, racconta. Lei allo stadio ci è andata spesso, e l’atmosfera che descrive non è molto differente da quella che si respirava nel Ferraris di Genova durante la partita (annullata) tra Italia e Serbia: “La polizia serba organizza sempre, quasi di default, misure di sicurezza molto forti. I cordoni di polizia antisommossa circondano il campo anche durante le partite delle categorie inferiori. Il clima è teso: la violenza può scoppiare da un momento all’altro”.
Soprattutto quando in campo si sfidano le due squadre di Belgrado, il Partizan (che storicamente fa capo all’Esercito) e la Stella Rossa (legata alla Polizia), sempre in vetta ai campionati jugoslavi prima e a quelli serbi ora. Club molto importanti che purtroppo sono conosciuti anche per la violenza delle loro tifoserie.
Violente e pericolose fin dai loro soprannomi. Gli ultras del Partizan si definiscono “grobari”, cioè becchini – un monito, come dire “Attenti che vi scaviamo la fossa”. Quelli della Stella Rossa invece si chiamano “delijie”, prodi, patrioti. In passato il loro leader è stato Arkan (al secolo Zeljko Raznatovic), il comandante delle “Tigri”, l’unità paramilitare che durante le guerra dei Balcani si rese responsabile di efferate azioni di "pulizia etnica". Il tribunale dell'Aja lo accusò di crimini contro l'umanità e il diplomatico Usa Richard Holbrooke lo definì "assassino freelance". Proprio fra i suoi compagni ultras il criminale Arkan (assassinato nel 2000 al bar dell’Hotel Intercontinental di Belgrado) aveva reclutato quelli che poi diventeranno i paramilitari più conosciuti e temuti della Serbia, responsabili di massacri, saccheggi e violenze.
Arkan, si dice, era così legato alla sua Stella Rossa da farsi costruire una mega villa in stile hollywoodiano proprio sopra lo stadio della squadra: a Belgrado si racconta che reclutasse le sue “Tigri” dal balcone.
Anche Ivan Bogdanov, il 29enne capo dei tifosi arrestato a Genova dopo aver aizzato gli ultras serbi durante la partita con l'Italia nello stadio Ferraris, fa parte della tifoseria della Stella Rossa: con il soprannome di Coi (Tsoi) milita nella fazione estremista chiamata “Ultra Boys”. “E’ un capo ultrà molto noto, il suo volto lo conoscono tutti: ora in Serbia ci si chiede come abbia fatto a lasciare il paese e raggiungere Genova”, afferma la Galloni.
Da sempre rivali, i “becchini” ed i “patrioti si alleano quando si tratta di organizzare azioni violente che dallo stadio possano influenzare la politica. Lo confermerebbero anche le dichiarazioni del capo del governo della Vojvodina Bojan Pajtic, intervistato da Repubblica: "Questa teppaglia non agisce in maniera spontanea. Sono al soldo di chi vuole impedirci con ogni mezzo di diventare una nazione normale".
“Di solito questi gruppi escono allo scoperto quando il governo compie passi distensivi nella politica internazionale. Finora accadeva nei confronti del Kosovo, ma negli ultimi giorni si nota una novità: se prima l’argomento cardine era il rapporto di Belgrado con Pristina, ora si è spostato sull’ingresso del paese nell’Ue – spiega la Galloni – Non è un caso che, pochi giorni prima dei disordini di Genova, ci siano stati gli scontri per il Gay Pride serbo”. Dell’entrata della Serbia nell’Ue si discuterà il 25 ottobre. Ma perché questi tifosi sarebbero contrari all’ingresso del loro paese? “E' chiaro che l’entrata nell’Ue scardinerebbe alcuni dei meccanismi che ora garantiscono il potere a quelli che molti indicano come gli sponsor politici degli ultras".
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Ce li racconta Isotta Galloni, giovane giornalista italiana che da tre anni vive e lavora a Belgrado per l’agenzia giornalistica Apcom e varie testate italiane.
“In Serbia c’è una fetta di gioventù quasi allo sbando, che nessuno riesce a canalizzare. Molti di questi finiscono nelle tifoserie delle squadre. Gruppi violenti e organizzati, che si dice siano finanziati da movimenti dell’estrema destra e da tycoon serbi. Ma nessuno, per ora, ne ha le prove”, racconta. Lei allo stadio ci è andata spesso, e l’atmosfera che descrive non è molto differente da quella che si respirava nel Ferraris di Genova durante la partita (annullata) tra Italia e Serbia: “La polizia serba organizza sempre, quasi di default, misure di sicurezza molto forti. I cordoni di polizia antisommossa circondano il campo anche durante le partite delle categorie inferiori. Il clima è teso: la violenza può scoppiare da un momento all’altro”.
Soprattutto quando in campo si sfidano le due squadre di Belgrado, il Partizan (che storicamente fa capo all’Esercito) e la Stella Rossa (legata alla Polizia), sempre in vetta ai campionati jugoslavi prima e a quelli serbi ora. Club molto importanti che purtroppo sono conosciuti anche per la violenza delle loro tifoserie.
Violente e pericolose fin dai loro soprannomi. Gli ultras del Partizan si definiscono “grobari”, cioè becchini – un monito, come dire “Attenti che vi scaviamo la fossa”. Quelli della Stella Rossa invece si chiamano “delijie”, prodi, patrioti. In passato il loro leader è stato Arkan (al secolo Zeljko Raznatovic), il comandante delle “Tigri”, l’unità paramilitare che durante le guerra dei Balcani si rese responsabile di efferate azioni di "pulizia etnica". Il tribunale dell'Aja lo accusò di crimini contro l'umanità e il diplomatico Usa Richard Holbrooke lo definì "assassino freelance". Proprio fra i suoi compagni ultras il criminale Arkan (assassinato nel 2000 al bar dell’Hotel Intercontinental di Belgrado) aveva reclutato quelli che poi diventeranno i paramilitari più conosciuti e temuti della Serbia, responsabili di massacri, saccheggi e violenze.
Arkan, si dice, era così legato alla sua Stella Rossa da farsi costruire una mega villa in stile hollywoodiano proprio sopra lo stadio della squadra: a Belgrado si racconta che reclutasse le sue “Tigri” dal balcone.
Anche Ivan Bogdanov, il 29enne capo dei tifosi arrestato a Genova dopo aver aizzato gli ultras serbi durante la partita con l'Italia nello stadio Ferraris, fa parte della tifoseria della Stella Rossa: con il soprannome di Coi (Tsoi) milita nella fazione estremista chiamata “Ultra Boys”. “E’ un capo ultrà molto noto, il suo volto lo conoscono tutti: ora in Serbia ci si chiede come abbia fatto a lasciare il paese e raggiungere Genova”, afferma la Galloni.
Da sempre rivali, i “becchini” ed i “patrioti si alleano quando si tratta di organizzare azioni violente che dallo stadio possano influenzare la politica. Lo confermerebbero anche le dichiarazioni del capo del governo della Vojvodina Bojan Pajtic, intervistato da Repubblica: "Questa teppaglia non agisce in maniera spontanea. Sono al soldo di chi vuole impedirci con ogni mezzo di diventare una nazione normale".
“Di solito questi gruppi escono allo scoperto quando il governo compie passi distensivi nella politica internazionale. Finora accadeva nei confronti del Kosovo, ma negli ultimi giorni si nota una novità: se prima l’argomento cardine era il rapporto di Belgrado con Pristina, ora si è spostato sull’ingresso del paese nell’Ue – spiega la Galloni – Non è un caso che, pochi giorni prima dei disordini di Genova, ci siano stati gli scontri per il Gay Pride serbo”. Dell’entrata della Serbia nell’Ue si discuterà il 25 ottobre. Ma perché questi tifosi sarebbero contrari all’ingresso del loro paese? “E' chiaro che l’entrata nell’Ue scardinerebbe alcuni dei meccanismi che ora garantiscono il potere a quelli che molti indicano come gli sponsor politici degli ultras".
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