Israele e Palestina, tutte le questioni sul tavolo

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Barack Obama tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ed il presidente palestinese, Abu Mazen
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Giovedì riprende dopo 19 mesi il dialogo tra Netanyahu e Abu Mazen. Dallo stato palestinese fino al controllo delle fonti d'acqua ecco, punto per punto, tutti i nodi che andranno sciolti

Il 2 settembre ripartono a Washington i negoziati israelo-palestinese dopo 19 mesi di gelo e sospetti reciproci.  L'appuntamento inaugurale è fissato per giovedì, con una cerimonia di restart che vedrà il padrone di casa Barack Obama, il premier israeliano Benyamin Netanyahu  e il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp)  Abu Mazen  affiancati da tre co-mediatori: il rais egiziano Hosni Mubarak, il re di Giordania Abdallah, l'inviato del Quartetto (Usa, Russia, Ue, Onu) Tony Blair.

Il negoziato che sta per aprirsi è pero solo un capitolo, e probabilmente non l'ultimo, di un tormentato e finora sterile dialogo israelo-palestinese cominciato 17 anni fa con gli accordi di Oslo, su cui si basa il processo di pace. Il contenzioso da allora è rimasto lo stesso e la distanza tra le parti non pare essersi attenuata sulle questioni chiave.

Riconoscimento di Israele come Stato Ebraico
- L'attuale premier israeliano Benyamin Netanyahu pare molto insistere su questo punto, nel chiaro intento di sventare la richiesta palestinese del "Diritto al ritorno" alle loro case dei profughi del 1948, il cui numero, discendenti inclusi, è ora stimato in quattro milioni. Passati governi israeliani non hanno escluso un rientro scaglionato di poche decine di migliaia nel quadro di un accordo di pace che ponga però fine a ulteriori rivendicazioni.

E' una richiesta che i palestinesi rifiutano nettamente: Noi - dicono - riconosciamo lo 'Stato di Israele', non spetta a noi definirlo. Sostengono inoltre di non voler pregiudicare gli interessi dei palestinesi israeliani (20% della popolazione) che si battono per piena integrazione e uguaglianza nello Stato.

Stato palestinese
- A parole anche Israele è d'accordo. Ma mentre i palestinesi intendono uno Stato pienamente sovrano su tutta la Cisgiordania, Gerusalemme est, e la striscia di Gaza - entro i confini di prima della Guerra dei Sei Giorni del 1967 - Israele pensa a un'entità a sovranità limitata e senza forze armate, esige "efficaci misure di sicurezza" sul terreno, e vuole anche il controllo di alcune aree strategiche e dello spazio aereo. Questione cruciale è quella delle Colonie ebraiche, ora al centro di ripetute richieste di congelamento totale preliminare che Netanyahu rifiuta. Sono gli insediamenti costruiti da Israele in Cisgiordania e a Gerusalemme est e per l'Anp, e la comunità internazionale, sono tutti illegali. Oggi contano in totale ben 600.000 abitanti. Nel 2000 l'allora premier Ehud Barak aveva offerto il ritiro di Israele da oltre il 90% della Cisgiordania e scambi ineguali di territori. Il predecessore di Netanyahu, Ehud Olmert, secondo fonti di stampa israeliane, era arrivato a offrire il 95% piu' un altro 5% di territorio israeliano in cambio dell'annessione di aree cisgiordane dove si trovano molte colonie, per una uguale superficie complessiva.
I palestinesi non si opporrebbero a uno Stato smilitarizzato, rifiutano una presenza israeliana ma si dicono disposti ad accettare forze Nato a garanzia della loro sicurezza. Non escludono molto limitate rettifiche di confine.

Gerusalemme
- Per molti è la questione più spinosa, su cui si scontrano le passioni religiose e nazionalistiche più profonde delle due parti. I palestinesi vedono nell'intera Gerusalemme est la futura capitale del loro Stato e paiono rifiutare ogni compromesso. Israele, che ha occupato la parte orientale con la guerra del 1967 e poi proclamato l'intera città sua capitale, non sembra più escludere una spartizione entro confini da concordare. Una proposta che circola è quella di considerare la Città Vecchia e il Monte degli Ulivi, il cosiddetto 'sacro bacino', come area sotto la sovranità di Dio. Ma l'idea suscita aspre resistenze in Israele e tra i palestinesi. Olmert è stato il premier che si è forse mostrato più flessibile in materia, Netanyahu sembra esserlo molto meno.

Controllo delle fonti d'acqua - Parte delle falde acquifere sfruttate da Israele si trovano anche in Cisgiordania. I palestinesi ne rivendicano il controllo. Israele propone una gestione congiunta ed esige che i palestinesi depurino le acque di scarico che defluiscono nel suo territorio. Nel 2013 sarà completato il piano di centrali di desalinizzazione dell'acqua marina che dovrebbe incoraggiare Israele a una maggiore flessibilità.

Fiducia reciproca - E' il nodo dei nodi, essendo largamente latitante sia a livello di opinioni pubbliche - come confermano sondaggi, approcci culturali e comportamenti correnti - sia di leadership. Un nodo reso ancora più stretto dalla scarsissima sintonia personale di Netanyahu e molti suoi ministri non solo con Abu Mazen, ma anche con Barack Obama.

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