Heathrow, ossessione check-in

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Lo scalo londinese di Heathrow
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Lo scrittore Alain de Botton ha vissuto sette giorni nello scalo londinese. È nato così "Una settimana all'aeroporto" (Guanda), un reportage che racconta la vita quotidiana della più grande aerostazione europea. Leggine uno stralcio in esclusiva su Sky.it

di Alain de Botton

Rachel e Simone erano responsabili dell’addestramento di tutto lo staff addetto ai controlli del Terminal 5 e tenevano regolarmente corsi su come disarmare i terroristi e quale posizione adottare per proteggersi nell’eventualità che qualcuno lanciasse una bomba a mano.
Agli impiegati, individualmente, impartivano anche istruzioni di base su come usare le armi semiautomatiche.

La loro conoscenza dell’antiterrorismo aveva influenzato ogni aspetto della loro vita: nel tempo libero leggevano ogni sorta di pubblicazione sull’argomento. Rachel era specializzata nell’operazione Entebbe, avvenuta nel 1976; Simone sapeva tutto sull’affare Hindawi, in cui un cittadino giordano, Nezar Hindawi, aveva consegnato alla fidanzata incinta una borsa piena di esplosivo Semtex e l’aveva convinta a salire a bordo di un volo El Al diretto a Tel Aviv.
Il complotto era fallito ma Simone mi spiegò (e senza saperlo smentì le mie ingenue conclusioni sull’utilità di perquisire un certo genere di passeggeri) che quell’incidente aveva modificato definitivamente il modo in cui il personale di sicurezza di tutto il mondo guardava alle donne incinte, ai bambini piccoli e alle nonnette gentili.

Se molti passeggeri si agitavano o si arrabbiavano per le numerose domande e perquisizioni, era perché quel tipo di indagini poteva essere facilmente scambiato, anche se solo a livello inconscio, per un’accusa, e quindi avallare una tendenza preesistente al senso di colpa. Una lunga attesa davanti allo scanner può indurre molti di noi a iniziare a chiedersi se forse siamo davvero usciti di casa con un ordigno esplosivo nascosto nella valigia, o se senza volerlo abbiamo seguito per mesi un corso di addestramento per terroristi.
La psicanalista Melanie Klein, nel suo Invidia e gratitudine (1957), ha collegato questo senso di colpa latente a una parte intrinseca della natura umana, che ha origine nel desiderio edipico di assassinare il genitore del nostro stesso sesso. Nell’età adulta, il senso di colpa può diventare così forte da provocare un bisogno irrefrenabile di confessare il falso alle autorità , o anche di commettere crimini reali in modo da alleviare la schiacciante sensazione di avere fatto qualcosa di sbagliato.

Passare senza controlli attraverso il varco di sicurezza ha un vantaggio, almeno per chi è ossessionato (come il sottoscritto) da un vago senso di colpa.
Oltrepassare liberamente i detector muti mi permise di provare un sentimento simile a quando si esce da una chiesa dopo la confessione, o da una sinagoga il giorno dell’Espiazione, momentaneamente assolti e sollevati, in parte, dal peso dei nostri peccati.
Copyright © Alain de Botton 2009
© 2010 Ugo Guanda Editore S.p.A., Viale Solferino 28, Parma - Gruppo editoriale Mauri Spagnol

Tratto da Alain de Botton, Una settimana all'aeroporto, traduzione di Ada Arduini, Guanda, pp.138, euro 13

Alain de Botton è nato in Svizzera nel 1969, ha studiato a Cambridge e vive attualmente a Londra. Ha esordito con Esecizi d’amore. Tra i suoi numerosi libri, in Italia pubblicati da Guanda, L'arte di viaggiare e Architettura e felicità. Il suo sito internet è www.alaindebotton.com.

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