Eshkol Nevo: "Sogno l'abolizione della leva obbligatoria in Israele"
MondoAbbiamo incontrato a Torino in occasione del Salone del Libro Eshkol Nevo che ci ha parlato della sua raccolta di racconti "Legami", della guerra in Medio Oriente e delle prospettive di pace
“Il destino dei libri è misterioso”. Eshkol Nevo riassume così a Sky TG24 la parabola di "Legami", la sua ultima raccolta di racconti, edita dal marchio Gramma di Feltrinelli. È un libro che parla di ferite invisibili e dolori nascosti, scritto e pubblicato in Israele prima del 7 ottobre, alla fine di una lunga gestazione durata 13 anni. Dopo l’attacco di Hamas, in “Legami” gli israeliani hanno trovato il conforto che cercavano, una medicina contro la paura. “Lo descrivono come un abbraccio”, spiega Nevo. Lo abbiamo incontrato al Salone del Libro a Torino, sua città d’adozione. Insegna alla Scuola Holden e ama l’Italia, perché è il Paese che gli consente di guardare le cose “dalla giusta distanza”.
Può essere proprio il dolore punto di incontro tra palestinesi e israeliani?
Negli ultimi mesi il mio lavoro di insegnante di scrittura creativa e scrittore si è concentrato su questo: sulla possibilità di essere empatici nei confronti degli altri. Durante le guerre bisogna aggrapparsi con tutte le proprie forze ai valori umani. Ho trovato nell’incontro con le persone, nell’ascolto e nello scrivere la chiave di tutto. Si impara così a capire il dolore degli altri e dell’altra parte. Credo fortemente in questo. Ci vorrà tempo, dobbiamo ricostruire la fiducia e la nostra capacità di essere empatici, che non è scontata.
Come definirebbe il suo ruolo?
Sto facendo lo scrittore in senso psicologico e non intellettuale, curando le persone, incontrandole. Ho visto la magia nell’incontro di dolori.
Si parla del 7 ottobre associandolo alla parola “trauma”. Lei che lavora con le parole e che è laureato in psicologia, ci spiega il significato profondo di questa parola?
Ne parlo anche nel mio libro nel racconto che si chiama “Escape room”. Gli israeliani dovevano già fare i conti con le conseguenze dei traumi passati. Mio padre è stato un soldato nella guerra del 1973. I fratelli maggiori dei miei amici hanno combattuto nella guerra dell'82. Questo è già un Paese al limite. La guerra attuale ha riattivato tutto questo. E si deve considerare anche l'Olocausto: quando sei ebreo lo porti nel Dna. Gli israeliani dopo il 7 ottobre sono in uno stato di stress post traumatico perché si somma a tutti quelli della storia. Quello che sto facendo è cercare di aiutare le persone a esprimersi, perché, se sei in grado di trovare le parole per descrivere quello che provi, tutto fa meno paura.
Lei ha detto che non si può parlare di pace prima che queste ferite non si saranno rimarginate. Come accelerare questo processo di guarigione?
La nostra sfida principale è il cessate il fuoco. Pace è una parola troppo grande. Ripartiamo dal cessate il fuoco Le persone stanno soffrendo da entrambe le parti. Ci sono civili che stanno soffrendo, uccisi e feriti tutti i giorni. E mi riferisco a un serio cessate il fuoco, in cui gli ostaggi torneranno a casa e in cui avremo la garanzia che non ci saranno altri "7 ottobre". Quando avremo un cessate il fuoco sarà il momento di ricostruire la fiducia, ricostruire l'empatia, cambiando magari i nostri leader con dei leader che saranno abbastanza coraggiosi da avere una visione in questa direzione. Il giorno in cui ci sarà il cessate il fuoco sarà un giorno felice.
Il cambio dei leader è dunque necessario?
Parliamone dopo la fine della guerra". È chiaro a tutti che in Israele ci sarà un cambiamento. Sarò felice di parlarne dopo la guerra.
Come descriverebbe questo momento dal punto di vista personale?
Questo è il momento più doloroso della mia vita ma anche, per uno strano paradosso, il più ricco di significato dal punto di vista artistico. Mi sento di avere qualcosa da offrire. Il 7 ottobre ero in italia, ma ho voluto subito tornare in Israele. Adesso sono in Italia e voglio tornare dal mio popolo per dare il mio contributo insegnando a raccontare storie.
Nel suo prossimo libro troveremo il 7 ottobre?
Aspettiamo e vedremo. Ancora non lo so. Ogni volta che mi esprimo sui miei futuri lavori, finisco per dire delle cose che non si avverano. Scrivere è un processo che può essere deludente e illusorio. Lasciamoci stupire.
Nel suo primo romanzo, il bestseller “Nostalgia”, ci sono sullo sfondo gli anni Novanta, il decennio delle grandi opportunità di pace. Cosa è andato storto?
Facciamo un passo indietro. Penso anche agli anni Settanta. All’inizio di quel decennio abbiamo avuto una guerra terribile tra Israele, Egitto, Siria e Giordania. Migliaia di persone persero la vita. La generazione dei nostri padri ha dovuto fare i conti con i disturbi post-traumatici. Camminavano nelle nostre case senza essere presenti, ombre di loro stessi. Ma pochi anni dopo siamo arrivati a un accordo con l’Egitto che ancora continua. Nella notte dell’attacco iraniano a Israele, la Giordania ci ha aiutati, perché anche con i giordani abbiamo un accordo che risale agli anni Novanta. È giusto ricordare le tragedie, ma dobbiamo anche fare tesoro dei passaggi storici positivi da cui dobbiamo imparare.
Come può Israele riconquistare la fiducia delle opinioni pubbliche dopo quello che sta accadendo a Gaza?
Ricostruire la fiducia tra nazioni in guerra, nazioni che si procurano tragedie a vicenda, è un processo lungo. Una delle cose di cui parlo nel mio libro Legami è l'importanza del tempo, della pazienza, a volte si perdono opportunità e se ne aprono di nuove e c'è bisogno di avere pazienza per far funzionare le relazioni e aspettare il ritmo dell'altra parte. Serve molta attenzione e pazienza.
Adesso le chiedo uno sforzo di immaginazione, cosa vede nel futuro di Israele?
Parliamo di un futuro a lungo termine. Ho tre figlie. Una ha 20 anni, è già un soldato, l'altra ha quasi 18 anni e entrerà presto nell'esercito. La più piccola ha 13 anni. Penso che anche lei dovrà arruolarsi, ma ho una speranza: che i miei nipoti non dovranno arruolarsi. Penso che sia assurdo il servizio militare obbligatorio per una ragazza di 20 anni. Questa è la mia speranza. E continuerò a crederci. Non possiamo sopravvivere nel posto in cui viviamo senza avere delle speranze e quindi me le terrò strette
A proposito di posti in cui si vive, lei si divide tra Ra'anana e Torino. Ha trovato un equilibrio?
Trovo ispirazione nella lontananza da Israele, per questo molti dei miei racconti sono stati scritti in Italia. È qui che riesco a guardare le cose in modo più distaccato, con una certa prospettiva. E poi l’espresso, che è la migliore droga per gli scrittori.