Il voto in Svizzera contro in minareti ha suscitato un coro di proteste da parte dei musulmani. Eppure da tempo la situazione dei credenti in Cristo nei paesi islamici è così difficoltosa da potersi parlare di vere "Chiese del silenzio"
La riscoperta delle radici culturali e religiose si è sempre manifestata con vigore tutte le volte che la presenza dell'altro, dello straniero, del diverso sì è profilata incombente come un incubo. Sintomatiche al riguardo sono le reazioni di alcune parti del mondo occidentale al voto svizzero contro i minareti, salutato con soddisfazione e impeto da crociata, che sembrerebbe, a prima vista, testimoniare una rinnovata adesione al cristianesimo bimillenario.
Diverse, invece, quelle provenienti dal mondo musulmano, fortemente critiche nei riguardi dell'intolleranza occidentale. Proteste giuste certamente, ma che perdono di mordente qualora si vada poi a considerare la situazione dei cristiani nel mondo islamico. E' dello scorso mese, a esempio, la denuncia di un presule sudanese sulle torture e i massacri dei credenti in Cristo a nord di Karthoum. Storie di soprusi e violenze a loro danno potrebbero essere raccontate a iosa. Il nostro inviato Riccardo Romani ha monitorato il caso Pakistan, dove gli oltre quattro milioni di cristiani sono costretti a esporre i propri simboli religiosi nella più totale clandestinità, soggetti a frequenti raid polizieschi e talvolta, come nello scorso agosto, vittime del fanatismo sanguinario.