Tre arresti, un obbligo di firma e una chiusura di indagine nei confronti di 27 persone per reati che vanno dall'associazione di stampo mafioso al narcotraffico, dalle estorsioni alle attività illecite legate al recupero crediti
Tre arresti, un obbligo di firma e una chiusura di indagine nei confronti di 27 persone per reati che vanno dall'associazione di stampo mafioso al narcotraffico, dalle estorsioni alle attività illecite legate al recupero crediti. Questo è l'esito di una indagine coordinata dal pm della Dda di Milano, e denominata 'Medoro', svolta dai carabinieri del Ros che riguarda un gruppo 'ndranghetista facente capo alla famiglia Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia).
Le perquisizioni
Eseguite perquisizioni in tutta Italia. Come si legge in un comunicato del procuratore della Repubblica milanese, il gruppo avrebbe "dimostrato la capacità di estendere la propria forza di intimidazione anche al di fuori dei confini nazionali, in particolare nelle isole Baleari". Dall'attività di indagine è emersa la figura di una avvocatessa che, "ritenendo di vantare un credito di oltre 40mila euro" nei confronti di un piccolo imprenditore della Lombardia, si sarebbe rivolta a tre persone contigue a Cosa Nostra, alla 'Ndrangheta e alla Sacra Corona Unita. Quest'ultima parte dell'inchiesta è svolta dalla Squadra mobile milanese, i cui accertamenti hanno consentito di dimostrare che la donna si sarebbe rivolta a un individuo vicino alla nota famiglia di mafia Fontana.
L'inchiesta
L'inchiesta sul "gruppo mafioso" radicato in Lombardia e in particolare nella provincia di Milano, come spiega il procuratore, è partita nella primavera 2018. Alcuni degli indagati sono legati "da vincoli di parentela" con esponenti del clan Mancuso di Limbadi. Ed è venuto a galla un maxi traffico di droga con movimentazioni da quasi 100 chili, tra hashish, marijuana e cocaina e una "importazione di quasi due tonnellate di hashish" per un volume di affari di alcune centinaia di migliaia di euro. Poi, le attività di recupero crediti con modalità estorsive e "intimidazioni" per "coartare la volontà dei debitori" ma anche per "costringere gli stessi creditori a sottostare alle imposizioni ricevute" riguardo ai "compensi" da girare al clan. Recupero crediti che in parte si sarebbe svolto anche alle Baleari, dove "gli indagati hanno esportato il loro know how criminale, offrendo il 'servizio' di recupero crediti a imprenditori locali ed espandendosi nel settore della sicurezza dei locali notturni".
Magistrati spiati da un bar
Luigi Aquilano, 44enne, genero del boss Antonio Mancuso, finito in carcere nell'ambito dell'inchiesta, avrebbe gestito un bar in via Manara, proprio a fianco al Palazzo di Giustizia di Milano, e da quel locale la moglie (non indagata) e figlia di Mancuso, avrebbe assunto "informazioni" su "alcuni magistrati" che lo frequentavano. Il particolare emerge dalle 850 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Milano Lidia Castellucci. Quel bar, come risulta dagli atti, sarebbe stato acquistato nel 2018 e rivenduto nel dicembre 2020. La circostanza che si trovasse "proprio di fronte all'ingresso di via Manara del Palazzo di Giustizia" faceva sì che fosse frequentato "da magistrati, avvocati, appartenenti" alle forze dell'ordine "e personale impiegato negli uffici giudiziari". E da un'intercettazione del gennaio 2019 "è emerso come la donna, approfittando delle generalità riportate sui ticket" dei buoni pasto "avesse consultato fonti aperte per informarsi sulla storia e sulla carriera professionale dei magistrati che sono habitué del loro bar". E diceva: "Guarda oggi ho preso i ticket di tutti i nomi dei giudici quelli che vengono e mi sono andata a leggere le storie (...) la bionda invece ha fatto processi importanti... e poi uno che è venuto stamattina... praticamente sono andata a vedere... sai in quale processo faceva parte? In quello Why Not! (...) siamo proprio circondati!". Tra l'altro, il "capobastone" del clan Antonio Mancuso in un'intercettazione si preoccupava per la "posizione" di quel bar: "Lavoriamo pure in un punto delicato”.
Le minacce
"O mi dai una macchina o mi dai il locale o mi dai quello che vuoi ... perché se no il locale che hai ad Ibiza me lo devi dare a me (...) tu l'hai fregato e tu devi dargli i soldi, ora te lo dico in calabrese!". È questo il tenore delle presunte minacce da parte di Luigi Aquilano. Due degli indagati (i pm hanno chiuso l'inchiesta nei confronti di 27 persone), secondo la Dda milanese, sarebbero stati "uomini di fiducia” del 44enne con compiti di "pianificazione e di individuazione delle azioni da compiere e delle strategie da adottare" sull'isola di Ibiza "individuando potenziali clienti a cui fornire il servizio di 'recupero crediti' ed esercitando personalmente pressioni intimidatorie nei confronti dei debitori". Per il gip, tuttavia, questi due indagati sono "legati da rapporti di amicizia con Aquiliano" ed "entrano nella presente indagine in maniera per così dire estemporanea, solo quando al secondo viene richiesto da parte di soggetti che dimorano a Ibiza di 'recuperare' dei crediti da soggetti italiani". E in merito "a tale attività, tuttavia, non vi è alcun elemento che possa ricondurla nell'attività programmatica del ‘gruppo'".
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